Scritto e diretto da Lino Musella e Paolo Mazzarelli
Con Fabio Monti, Laura Graziosi, Lino Musella, Paolo Mazzarelli
Scene Elisabetta Salvatori
Produzione Marche Teatro/Compagnia MusellaMazzarelli
————-
La società – tre atti di umana commedia non potrebbe avere sottotitolo più adatto. Esso indica precisamente due elementi fondanti costituenti l’opera di Lino Musella e di Paolo Mazzarelli, quali struttura e natura che sembrano coesistere armonicamente, a conferma del lavoro condiviso da entrambi gli autori e attori che va dalla scrittura alla pratica scenica. Cosicché anche chi scrive dello spettacolo è invogliato a provare a raccontarne l’ingranaggio della drammaturgia ed a porlo in relazione alla qualità della regia che vi si propone.
All’inizio vi sono tre sedie con dietro una tenda blu che taglia trasversalmente l’assito, decori natalizi, un appendiabito, un tavolinetto e un aspirapolvere, tutti oggetti sostanzialmente allineati frontalmente. Colpisce tale disposizione perché per tutto ciò che possiamo considerare l’atto primo i quattro protagonisti recitano quasi sempre stando l’uno di fianco all’altro, seduti o all’impiedi, prediligendo appunto una posizione frontale rispetto al pubblico. Ora a tale gestione dello spazio si aggiunge quello dei dialoghi imperniati su una drammaturgia tradizionale (si noti la struttura tripartita del dramma), articolata nella definizione dei ruoli e delle situazioni che ricorda lavori teatrali anglo-americani di qualche decennio fa; la trama difatti si rivela man mano, utilizzando un approccio quasi cinematografico. Nel progressivo aggiungersi di più elementi subito appaiono limpidi i nodi, i contrasti fra i quattro protagonisti; lo zio Melo, assistito dalla rumena Ljuba (Laura Graziosi), è in procinto di morire. Cinque anni prima ha lasciato al nipote Salvo (Fabio Monti) un locale bruciato da un incendio, rilevatolo con i soldi dell’assicurazione, e spingendolo a farne un’attività con il supporto di Ugo (Lino Musella) e di Vittorio (Paolo Mazzarelli), ora giunti al capezzale del benefattore. Per l’appunto una Società in cui la gestione apparentemente equa fra i tre ha dato vita ad un ritrovo frequentato da persone ricercate, scelta ampiamente contrastata da Vittorio il quale vuol farne un esercizio molto più prosaico e redditizio. Il quadro, dicevamo, riesce a disvelare, attraverso interruzioni di dialoghi con entrate ed uscite dei singoli personaggi, delle dinamiche della vicenda atte a far comprendere facilmente i caratteri dei quattro protagonisti, in base alla struttura tradizionale della commedia in cui le parentesi scherzose, quali fluidi motti di spirito fra i tre amici, modellati su interazioni spontanee e di grande naturalezza, confluiscono nel drammatico momento della morte dello zio. L’immobilità ed il silenzio di questa parte sugellano il transito all’atto secondo. Passato circa un mese, i tre si ritrovano presso la sede legale del loro locale “115”. Dei tavoli con sedie alzate e scartoffie, una poltrona bordeaux posizionata verso il proscenio ed un pc portatile su un tavolinetto, si ode sfumata della musica tecno e sono le tre del mattino. C’è stato un cambiamento importante, non più musica jazz ed intellettuali, ora motori trainanti di questo esercizio sono alcool, musica ad alto volume ed un banconista tutto muscoli di nome Gabriel. Non sappiamo davvero chi sia costui ma nella tessitura drammaturgica diviene un argomento per procrastinare continuamente la riunione notturna fra Vittorio, Ugo, Ljuba e Salvo, espediente che pure stavolta ci rivela l’evoluzione delle dinamiche fra i protagonisti. Colpiscono anche qui la spontaneità e il realismo degli alterchi che i quattro sciorinano ed ancora come senza forzature, il discorso sia incanalato nel nocciolo principale: l’eredità. A questo punto, reso palese che lo zio ha lasciato in percentuali uguali l’esercizio ai tre e in una minore a Ljuba, inizia il duro confronto sulla modalità e le scelte gestionali. Proprio da una matematica divisione equa del potere, all’apparenza esemplare in quanto implichi una condivisione, nasce l’impossibilità di una soluzione certa e costruttiva. É in questo momento in cui Ugo, Vittorio e Salvo devono fare i conti con loro stessi, con la convergenza del loro essere su quello dell’unica donna presente, Ljuba. Non è un caso che al definitivo congedo di costei la si vede acquisire la posizione centrale del palcoscenico ed equidistante dai tre che posti in punti disparati dell’assito sono finalmente al cospetto del fallimento individuale e collettivo. Tale prospettiva segna fortemente lo spettacolo intriso di elementi e simboli più che mai comuni alle problematiche socio-economiche del nostro tempo. I tre, dunque, rappresentano una realistica parabola di quel che accade generalmente tra piccoli imprenditori. Se si guarda attentamente il personaggio Ugo, costui rivela al pubblico un’anima leggermente parodica intrisa nella scrittura della commedia; Ugo alle prese con la gravidanza di Ljuba, così ingenuo, Ugo alle prese con una dose di cocaina e in un momento catartico tra i tre si fa imprestare da Vittorio una banconota con la quale aspirarla come per illudersi di essere parte di un potere economico forte oppure come per porsi tacitamente da quella di chi del “115” vuol farne una macchina da soldi. Al contrario Salvo, ottenebrato da un idealismo che lo vuole contrario alla politica di Vittorio ed infarcito di un parlare arzigogolato ed astratto che rifiuta ogni approccio becero col denaro; eppure proprio costui rivendica la preminenza del potere in virtù del legame di sangue con lo zio Melo. Tutti e tre non sono altro che autentiche proiezioni rispetto all’aspirazione imprenditoriale ed al contempo emblemi di maniere differenti con cui approcciarsi al vivere. Fallita la co-gestione, non resta altro che ritornare indietro nella maniera estrema ma non rara nei nostri tempi difficili. Il primo e secondo atto (in realtà più semplificati e brevi rispetto a quelli canonici), allora, sono dotati di una struttura uguale in cui la sola azione è posta come relativo epilogo delle due micro-vicende che vengono intervallate da un preciso lasso di tempo. A seguito di tali considerazione riesce più semplice comprendere il senso del terzo atto. Una parabola umana al cento per cento che culmina, difatti, con un azzeramento temporale e spaziale che fa dà alla pièce una struttura circolare.
Un azzeramento temporale, un ritorno ad un capodanno fortemente simbolico in grado di restituire ai tre il ricordo – perlomeno – di un’illusione, di quella comune a tutti noi, di potercela fare nella realizzazione concreta di un sogno. Un salto indietro, un semplice flashback o un’autentica astrazione come se tutta “l’umana commedia” in realtà si ripetesse all’infinto a mo’ di parabola dei nostri tempi? Facciamo che il finale resti aperto, in bilico, in modo che prima che cali il sipario ognuno possa darne un’interpretazione individuale a ciò che noi chiamiamo così generalmente “una società”.