«For the fifth consecutive year, Led Zeppelin swept the top honors in the major U.S. and U.K: music polls. In Britain’s Melody Maker, four top prizes were garnered…». Inizia così il comunicato stampa ufficiale della “Swang Song” del 9 gennaio del 1978. Con i riflettori spenti, le urla dei fans sfumate nel dolore di un babbo, un babbo qualsiasi. Il silenzio improvviso che cala sulle note di una band il cui volo sembra essere diventato sempre più pesante, difficoltoso, quasi dovuto.
Plant, colpito così duramente negli ultimi due anni, inizia ad entrare in rotta di collisone con Page. Lo chock provocato dalla morte del figlio porta il cantante a prendere in considerazione l’idea di lasciare la band.
Bonham e Jones si eclissano, passando, finalmente, molto tempo con le rispettive famiglie e, ad ottobre, partecipano al progetto di Paul McCartney, la Rockestra. Un supergruppo ideato dall’ex Beatles per arricchire l’album dei Wings “Back To The Egg”, che uscirà l’anno dopo. Oltre alla base ritmica dei Led Zeppelin, al progetto partecipano, tra gli altri, David Gilmour, Pete Townshend, mentre Kenney Jones, che sostituisce Keith Moon scomparso solo un mese prima, si affianca a Bonzo alla batteria.
Keith Moon, il cuore ritmico degli Who insieme al bassista John Entwistle. Vi ricordate? Entrambi dovevano fare parte dei “New Yardbirds” di Jimmy Page (seconda puntata, ndr), ed entrambi ne uscirono convinti che quel progetto fosse un “lead Zeppelin”, troppo pesante (lead, di piombo) per volare, e poi loro, Moon & Entwistle con Townshend e Daltrey, la strada del successo l’avevano già intrapresa con “My Generation”. Ma almeno adesso la leggenda vi svela, sempre che non la sappiate già, come è nato, togliendo solo una vocale, il nome della band del dirigibile. Per chiudere il cerchio, Jeff Beck rinunciò all’invito di Paul McCartney.
Bonham e Jones incidono due brani con la Rockestra, “Rockestra Theme” (che vincerà il Grammy come migliore per “Best rock instrumental performance”) e “So Glad To See You Here” , mentre se non vi accontentate di un Bignami, vi potete sparare tutto il documentario prodotto da tale esperienza .
Un’altra magione, questa volta il castello di Clearwell nella foresta di Dean, mentre l’autunno del 1978 sta lasciando il passo al suo inverno. Ripetuti incontri tra quegli ancora formidabili quattro e, alla fine, Plant decide di proseguire con i Led Zeppelin.
Entrano in uno studio di registrazione, quello degli Abba, i Polar Studios di Stoccolma, mentre il panorama musicale sta radicalmente cambiando.
L’elettronica, grazie soprattutto ai Kraftwerk, entra prepotentemente in ballo con sintetizzatori sempre più sofisticati, i palchi dei concerti trasformati in viaggi di luci ed effetti. E poi si afferma la cultura punk che prenderà proprio di mira le icone rock di quegli anni settanta, diventando il fulcro della evoluzione sonora degli anni ottanta che fingeranno di scordarsi del decennio precedente e di quelli ancora prima.
Niente più pantaloni a zampa di elefante, non basta più nemmeno la sola artigianale sapienza di un chitarrista, piuttosto che di un bassista o del ritmo di una batteria. È in atto una vera e propria rivoluzione musicale e, come tale, passa sopra a tutto e a tutti. È il fascino del nuovo, della rottura con il passato con le creste ed il gel che prendono il sopravvento sui capelloni e sui testi hippie.
È già 1979 quando i Led Zeppelin, dopo quasi due anni dal loro ultimo concerto negli States, tornano sul palco per una breve tournèe europea che fa da prologo al festival di Knebworth dove il 4 e l’11 agosto si esibiranno di fronte a 400.000 spettatori per più di tre ore di concerto con fans provenienti da ogni parte del mondo. Qualche giorno più tardi viene pubblicato il loro ottavo album in studio.
«Allora, c’erano due campi distinti. E noi, Plant e me, eravamo relativamente puliti». (John Paul Jones, “The Long Shadows of Led Zeppelin, Rolling Stone 2006-2007)
Page e Bonham, l’altro campo, relativamente, non lo erano. Il primo con I suoi fantasmi onirici e occulti e la sua battaglia contro la dipendenza dall’eroina, l’altro sempre più fedele alla bottiglia dai quaranta gradi in su.
Non suonano più tutti e quattro insieme. Page e Jones registrano di giorno, gli altri due si aggiungono a notte fonda così che, per la prima volta nella storia del catalogo del dirigibile, ben due brani non portano la firma mitica di Page, mentre Bonham scompare del tutto dai crediti.
Un album nato dai contrasti, e per giunta registrato negli studi degli Abba, portano i critici a stroncarlo, quasi preventivamente. Eppure venderà milioni di copie e resterà in testa alle classifiche eguagliando le settimane di primato di “II”.
«In Through the Out Door non è stata la cosa più bella del mondo, ma, almeno, abbiamo cercato di variare il nostro repertorio, anche solo per preservare la nostra integrità. Quando ho perso mio figlio, non avevo molta voglia di cantare: “Hey hey mama say the way you move”. Penso che l’album abbia fatto i conti con la nostra coscienza e per questo risulta meno selvaggio». (Robert Plant by Mat Snow, “Q” magazine 1990)
«Bonzo ed io avevamo già iniziato a discutere le basi per un album che doveva tornare alle nostre origini. Entrambi abbiamo avuto la sensazione che “In Through the Out Door” fosse troppo morbido. Immaginavo se i fans, ai nostri concerti, avessero potuto fare l’onda sui brani che stavamo registrando. Ho solo pensato che non era da noi, che non funzionava per noi. Era giusto farlo in quel momento, ma non sarebbe stata la direzione da seguire in futuro». (Jimmy Page by Tolinski-Bendetto, Guitar World 1998)
Ma la copertina è un opera d’arte creata da Storm Thogerson per la Hipgnosis (nona puntata, ndr). L’involucro esterno richiama un sacchetto di carta marrone, come quello del pane. Si ispira alle copertine dei bootleg, la musica pirata dell’epoca, con un semplice timbro con il titolo dell’album e il nome del complesso. La magia avviene dentro quel sacchetto. Vengono realizzate sei foto in bianco e nero di un astante al bancone di un bar (l’Absinthe Bar in Bourbon Street a New Orleans) ripreso da sei angolazioni diverse, così da ottenere sei copertine diverse. La carta marrone impediva di vedere quale copertina si stesse comprando (in realtà c’era un codice sulla sleeve esterna dell’album che aiutava ad individuare quale foto si celasse dietro quella carta marrone), ma la magia non finisce qui: «Vi siete mai accorti che, passando un po’ di saliva o un po’ di acqua su quella foto in bianco e nero, quella sarebbe diventata a colori? Ci siamo ispirati come per un libro per bambini, da colorare. Non lo dicemmo a nessuno, anche i Led Zeppelin mantennero il segreto». (Storm Thogerson)
L’album viene pubblicato il 22 agosto del 1979.
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Lato A
1 – In the Evening (Jones, Page, Plant)
Il brano di apertura è uno dei motivi per il quale essere felici che questo album abbia visto la luce. Proprio bella. Da notare che è uno dei pochi pezzi nel quale Jimmy Page suona la sua Fender Stratocaster del 1964.
2 – South Bound Saurez (Jones, Plant)
È quello che può accadere quando due stanno insieme da una parte, Jones e Plant, e gli altri due, Page e Bonham, da un’altra. Ma nel panorama musicale di tutte le epoche, è stato fatto parecchio di molto peggio.
Non c’era l’honky-tonk piano di Jones.
3 – Fool in the Rain (Jones, Page, Plant)
Torna lo stile eclettico dei Led Zeppelin che si immerge in una sorta di samba nata, pare, mentre guardavano una partita dei mondiali di calcio del 1978. Una contaminazione che non sapremo mai dove avrebbe potuto portare la band del dirigibile.
Un rockabilly, anche un po’ country, in perfetto stile Elvis, uno dei miti di Plant e, quindi, inevitabile.
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Lato B
1 – Carouselambra (Jones, Page, Plant)
Il titolo del brano si riferisce al ritmo della prima sezione, molto simile alla musica “carousel”, ed è dominato dai sintetizzatori di John Paul Jones, con Page che si adagia nel sottofondo con la sua chitarra a doppio manico usata per la prima volta in studio. Non sarà mai suonata dal vivo, anche se l’idea originale era quella di usarla, come collante tra un pezzo e l’altro, nel nuovo tour americano programmato per l’autunno del 1980.
2 – All My Love (Jones, Plant)
Dedicata a Karac, il figlio perduto da Plant. Non c’è altro da aggiungere.
3 – I’m Gonna Crawl (Jones, Page, Plant)
Un morbido blues chiude il disco.
«Dopo “In Through the Out Door” volevamo fare qualcosa che ci riportasse a sonorità più hard basate sui nostri riff. Non mi sentivo a mio agio con quel disco, doveva essere una transizione, un trampolino di lancio per quello che poteva essere l’album successivo. Come sapete, non abbiamo avuto modo di potere fare quell’album». (Jimmy Page)
Ma le perplessità, di allora, su quel disco, lasciano spazio ai trionfi decretati, per l’ennesima volta, dai fruitori di quella musica. Alla fine di novembre, i Led Zeppelin fanno incetta di premi agli Melody Maker Awards, vincendo le categorie per miglior gruppo dal vivo, migliore gruppo, album, chitarrista, produzione, autore e voce maschile.
Il 1980 annota la tournée europea, dove viene messa a punto la scaletta per la nuova trasferta oltre oceano, ma il 27 di giugno Bonham collassa sul palco ed il tour viene sospeso. L’11 settembre viene annunciato il nuovo tour a stelle e strisce “The 1980s: Part One” Tour, con date dal 17 ottobre al 15 novembre.
Il 25 settembre Bonzo, stanco e completamente ubriaco, si assopisce su un divano. Non si sveglierà mai più.
«We wish it to be known, that the loss of our dear friend and the deep respect we have for his family, together with the deep sense of undivided harmony felt by ourselves and our manager, have led us to decide that we could not continue as we were». LED ZEPPELIN (Swang Song press release, 4 dicembre 1980)
– continua –