Quando Fabio Canessa chiede a Roberto Vecchioni di eseguire uno dei suoi brani più riusciti, La bellezza, il pubblico si prepara ad accogliere la meraviglia delle parole preziosamente limate, delle rime che non stancano il verso. Eppure, Roberto Vecchioni non è sul palco della Pergola per cantare. O, meglio, non soltanto. Se ne sta lì, elegante e posato, forse appena troppo sicuro di sé, per presentare il suo lavoro in prosa, Il mercante di luce, titolo che vagamente rimanda ad un verso di De André, che a sua volta strizza l’occhio al lavoro di Edgar Lee Master, L’antologia di Spoon River. Perché l’arte rimanda sempre ad altra arte, come insegna lo stesso Vecchioni, che nel suo libro lascia che sia la letteratura greca, raccontata per bocca di Quosdam, padre sfortunato e probabile alter ego dell’autore, a colmare la vita del figlio, affetto da una rara sindrome, la progeria. Il professore, come lo chiama ormai tutto il suo pubblico, che vive un rapporto quasi simbiotico con il cantautore, sceglie di parlare di calcio per rompere il ghiaccio con la platea. Perché ama la sua squadre del cuore, l’Inter? Perché è sfortunata, naturalmente. E nel calcio, come nella vita, non importa che si vinca o che si perda, ma che si sia capaci di vincere e perdere. È la passione per i più sfortunati e l’antipatia per i vincenti, gli sfrontati, a fargli odiare Ulisse, primo fra tutti a sfidare, con fortuna, la natura. Vecchioni racconta e si racconta, rassicura il pubblico dicendo che a breve canterà, ed il pubblico reagisce con gioia, in un’atmosfera che, a parere di chi scrive, si rivela estremamente deludente, simbolo della cronica abitudine di questo Paese, che inchioda le persone alla propria professione. Del resto, è lecito anche interrogarsi sul fatto che addirittura Einaudi abbia scelto di pubblicare un romanzo, invero piuttosto breve, che non sembra toccare le vette conosciute dalle canzoni dell’autore milanese. Qui, naturalmente, dovremmo aprire una parentesi su cosa sia, oggi, la realtà editoriale in Italia, ma la sede non pare quella adatta. Fabio Canessa si dimostra un giornalista eccellente: le sue sono domande pertinenti e sempre adatte a far esprimere l’estro di Vecchioni, che ha voglia di insegnare, di raccontare. La cultura, però, non è sufficiente a scaldare il cuore del pubblico, ahinoi, e dunque Vecchioni trova una formula con la quale accontentarlo, interpretando i brani più noti, fino alla struggente Luci a San Siro, che chiude la serata.