Testo e regia: Ruggero Cappuccio
Con: Claudio Di Palma e Ciro Damiano
Musiche: Paolo Vivaldi
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Lo spettacolo indaga con immaginazione la figura di Willie Hughes – l’androgino destinatario dei Sonetti di Shakespea – sullo sfondo di una povera e sfarzosa governata dai Vicerè in cui sacro e profano, realtà e finzione si intrecciano fino a diventare irriconoscibili.
La storia che viene narrata non è la realtà ma una delle realtà possibili e dato che la realtà non è dimostrabile non resta che al pubblico scegliere la realtà che preferisce, anche se forse non è mai accaduta.
Sulla scena si confrontano forme espressive tipiche della Napoli barocca e del teatro elisabettiano, due lingue fortemente melodiche: la sospirata dolcezza della lingua di Shakespeare si alterna alla cantilenante musicalità del dialetto napoletano facendo sì che sia proprio la lingua ad avere una parte centrale nello spettacolo. Tuttavia la scelta di dare grandi responsabilità comunicative all’espressione linguistica è risultata essere un’arma a doppio taglio: per chi non è di madrelingua napoletana la comprensione non è scontata con il rischio di non cogliere tutte le battute, d’altro canto un compromesso linguistico tra dialetto napoletano e lingua italiana non avrebbe dato allo spettacolo lo stesso valore e la stessa coinvolgente passionalità.