“Suite francese”, film del regista britannico Saul Dibb, è la trasposizione cinematografica dell’omonimo libro di Irène Némirovsky, scrittrice ebrea morta di tifo ad Auschwitz nel luglio del 1942. Sul grande schermo, in un’operazione di semplificazione estrema degli innumerevoli filoni narrativi seguiti dall’autrice, si raccontano le vicende di Lucille Angellier, moglie di un soldato partito per il fronte per difendere la patria, interpretata con grande intensità dall’attrice statunitense Michelle Williams. Ambientato durante il secondo conflitto mondiale a Bussy, in Francia, il film è, esattamente come il libro cui si ispira, una “memoria da trasmettere (…) per tutti quelli che hanno conosciuto e ancora conoscono oggi il dramma dell’intolleranza” e testimonia come sia sufficiente una guerra per far prevalere le meschinità degli esseri umani ed innescare un comportamento delatorio diffuso e generalizzato. L’affascinante Lucille è costretta a vivere un’esistenza da reclusa, costantemente sorvegliata dalla suocera con cui convive e che le impedisce persino di dedicarsi alla musica, passione ereditata dal padre. Il vero fil rouge del film è rappresentato da una melodia denominata appunto “Suite francese” che rompe il silenzio e la solitudine della sposa di guerra. È nel segno delle note, infatti, che si crea l’appassionata storia d’amore fra un giovane soldato tedesco, nonché compositore (interpretato da Matthias Schoenaerts) che durante l’occupazione di Bussy è dislocato a casa di Lucille e la protagonista stessa. Il sentimento che lega i due amanti e che esporrà la donna alle critiche del paese non le impedirà però di conservare quel forte senso di attaccamento alla patria che ancora oggi tanto contraddistingue i francesi. E nel finale a sorpresa v’è anche una riabilitazione per il personaggio duro ed inflessibile della suocera a cui la guerra insegnerà a scoprire il valore della generosità e della condivisione, cancellando quella avidità che neppure l’arrivo del nemico aveva scalfito.