Se lo scopo dell’autore era di raccontare una storia di apparente normalità (l’interrogatorio di presunto assassino in un commissariato di periferia) facendola scivolare lentamente dal conscio all’inconscio, dalla realtà alle sospensioni oniriche, dall’interrogatorio di routine agli incubi kafkiani, dalle pause della mente ai gorghi della memoria mostrando i tasselli del puzzle in modo sparso di difficile ricomposizione, se lo scopo, dicevamo, era quello di sequestrare l’attenzione degli spettatori, distruggendone di volta in volta le certezze, giocando sullo sconcerto e sulla mortificante accettazione di non aver capito, ebbene, se è così, l’autore ha centrato in pieno l’obiettivo. Di fronte allo sconvolgente inaspettato epilogo (la liberazione del presunto colpevole) lo spaesamento è generale, tutti gli spettatori sono trascinati in un vortice di dubbi.
Per cercare di capire riassumiamo in breve la storia. Durante una pioggia torrenziale, un uomo infangato e infreddolito, trovato dalla polizia senza documenti, viene condotto in un fatiscente commissariato. Accusato di aver commesso un delitto quella notte stessa l’imputato dichiara di essere Onoff il celebre scrittore. Il commissario, personaggio duro ma comprensivo, seppur lusingato di avere di fronte il suo scrittore preferito, lo sottopone a delle domande di rito alle quali però Onoff non sa rispondere, incespica, cade in contraddizioni, è nervoso e visibilmente confuso. L’isteria aumenta col passare dei minuti. Il commissario incarna la figura del maieuta capace con la forza delle parole ad indurre il suo interlocutore all’introspezione, a cercare dentro di sé le risposte e portare alla luce verità celate o rimosse.
“Gli uomini sono eternamente condannati a dimenticare le cose sgradevoli della loro vita; e più sono sgradevoli e prima si apprestano a dimenticarle” scrive in uno dei suoi romanzi Onoff che nella lunga notte di “Una pura formalità” cerca ansiosamente di ricordare… ricordare… cosa?
In questo cammino verso la conoscenza Onoff confessa di chiamarsi in realtà Biagio Febbraio, di aver inventato la propria biografia nascondendo il suo passato di trovatello cresciuto in un orfanatrofio e di attribuire il proprio successo a un libro in codice che un clochard gli ebbe un tempo consegnato.
“Una pura formalità” è una vicenda al di fuori del tempo e dello spazio, il commissariato è un luogo non luogo con l’orologio senza lancette, strani segni sui muri, fogli scritti a macchina dal poliziotto che risultano in realtà tutti bianchi, matite che non scrivono, un non luogo dove la ragazza chiamata da Onoff al telefono risponde ma non sente la sua voce, dove la stazione indicata dallo scrittore (dalla quale sarebbe partita la sua seconda moglie) in realtà non esiste. Dunque non esiste nulla soltanto la pioggia e la vicenda post mortem del suicida. Ma sarà veramente così? Pur con la tipica atmosfera di un thriller questa storia pirandelliana può essere vista come una riflessione sulla vita, la morte e la memoria, come un viaggio alla scoperta di se stessi. Ottima la regia di Glauco Mauri che ha curato l’adattamento teatrale dal film di Giuseppe Tornatore e ha interpretato la parte del commissario, prova d’attore matura e intensa di Roberto Sturno nei panni di Onoff, buona quella dei comprimari Giuseppe Nitti, Amedeo D’Amico, Paolo Benvenuto Vezzoso e Marco Fiore. Le scene semplici e funzionali sono di Giuliano Spinelli, le belle musiche di Germano Mazzocchetti. Applausi misti a curiosità.