Questa Carmén (come la chiamano a Napoli con l’accento sulla e) è il frutto di una riuscitissima operazione drammaturgica che Enzo Moscato, grande erede della cultura teatrale napoletana, ha tratto novella di Mérimée e dalla Carmen di Bizet trasferendola da Siviglia alla Napoli dei bassi, delle passioni, della lingua partenopea tanto impervia quanto stupendamente espressiva. Grande l’abilità del regista Mario Martone di sistemare i tasselli di un policromo mosaico mediterraneo e gitano con una contaminazione di linguaggi che produce un riuscitissimo melting pot. Notevole l’apporto di Mario Tronco (e Leandro Piccioni) che ha curato gli arrangiamenti musicali mettendo nel frullatore le più belle arie dell’opera di Bizet contaminandole con sonorità napoletane, francesi, spagnole con un output originale e godibilissimo grazie anche all’esecuzione dei bravissimi componenti “l’orchestra multietnica di Piazza Vittorio” che, oltre ad essere abili strumentisti, salgono sul palco a ricoprire diversi ruoli minori dimostrando grande capacità attorale. Belle e funzionali le invenzioni sceniche con piani girevoli di Sergio Tramonti, i costumi di Ursula Patzak e l disegno luci di Pasquale Mari.
Ma ora finalmente parliamo di lei di una Jaia Forte in grande spolvero che interpreta il personaggio di una carnale, sensuale e ancheggiante Carmen con anima, cuore, passione e incredibile bravura nel canto e nella gestualità. Ottimo Roberto De Francesco nei panni di un Don Josè sempliciotto soldato veneto e del numeroso cast di attori (Ernesto Mahieux, Giovanni Ludeno, Anna Redi, Francesco Di Leva, Houcine Ataa, Raul Scebba, Viviana Cangiano, Kyung Mi Lee) che hanno collaborato al successo di questa storia di passione, tradimento e amore.
Carmen non è solo l’habanera voluttuosa, seducente, fatale e spavalda, sanguigna, sovversiva, la guappa e regina dei quartieri spagnoli di Napoli dove è ambientata la vicenda, ma è anche una donna libera con tutte le sue umane debolezze.
Lo spettacolo inizia con il rumore dell’onda marina che introduce l’ambientazione quando dal fondo del proscenio esce Carmen, cieca tenutaria di un bordello, che ci racconta la sua storia con una serie di flashback fino alla scena finale dove Don Josè, invasato di passione e gelosia, non uccide Carmen ma l’acceca.
Come possiamo definire questa Carmen? Lo spettacolo ha la struttura del music-hall ma, nel contesto, è più vicino alla sceneggiata napoletana che alterna il canto con la recitazione e il melologo drammatico. Una sceneggiata di alta classe.
Lo spettacolo, in occasione dell’Expo, è sovra titolato in inglese (e devo dire che in certi passaggi mi ha aiutato non poco).