Stagione di Prosa della Fondazione Teatro della Fortuna in collaborazione con AMAT.
(2 maggio 2015)
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È imbarazzante e anche difficile recensire uno spettacolo che ha colpito negativamente, perché non si vorrebbe offendere nessuno (anche se noi lo siamo stati) e nel contempo si vorrebbe esprimere il disappunto, il disorientamento, l’incredulità provati durante la CARMEN malamente narrata e peggio ancora cantata dalla compagnia di Iaia Forte e suonata dall’Orchestra di Piazza Vittorio diretta da Mario Tronco.
Si tratta di un adattamento e riduzione della storia di Carmen di Prosper Mérimée, Henri Meilhac e Ludovic Halévy, ad opera di Enzo Moscato e Mario Martone, che hanno distorto l’inizio e il finale (e non solo), in quanto all’inizio Carmen, occhiali neri e bicchiere in mano, entra in palcoscenico annaspando perché alla fine Cosè l’ha accecata e non ammazzata e, dopo la morale di Cosè, lei continua a girare in palcoscenico e poi si presenta con gli occhiali neri annaspando come all’inizio. Sì, avete capito bene, l’inizio è la conseguenza del finale che si chiude con la scena dell’inizio in una circolarità continua, è come percorrere la circonferenza di un cerchio dove inizio e fine sono inscindibili e invisibili. L’idea registica di esaltare la stretta connessione tra effetto/causa/effetto potrebbe essere interessante, se fosse chiaro l’atto dell’accecamento finale e della sopravvivenza di Carmen, invece abbiamo dovuto leggerlo, a me è sembrato che Cosè, dando le spalle al pubblico, le avesse tagliato la gola, perciò all’inizio pensavo che lei fosse ubriaca e non cieca. L’immagine dei morti viventi sembra piacere al regista Mario Martone, che ha fatto di Zuniga morto uno zombi: dopo lo scontro mortale con Cosè il cadavere si rianima, gira e gesticola con un pugnale infilzato nel petto sanguinante e parla con voce metallica, ma anche quand’era in vita Zuniga era un essere spregevole, urlante e violento, in netta contrapposizione con la fragilità di Cosè, che alla fine spara anche allo zombi.
Carmen è sguaiata e per niente seducente, tutti i personaggi sono intrisi di volgarità e di squallore, gli ambienti sanno di sporco e di logoro, nonostante le pareti mobili per i cambi, un po’ di colore e di vivacità sopraggiunge con la presentazione quasi circense della gente che attende lo spettacolo del torero arrampicata su una torretta di tubi metallici scintillante di luci.
Se l’obiettivo del regista era quello di denunciare lo squallore di certi ambienti ci è riuscito benissimo, se era una denuncia al fenomeno del femminicidio, come scritto nelle note di presentazione, noi non l’abbiamo capito, ma, anche se fosse, perché scomodare e stravolgere un’opera arcinota come Carmen per denunciare certi fenomeni agghiaccianti? Eppure Mario Martone non è digiuno di opera lirica e lo staff di questa Carmen è lo stesso dell’Aureliano in Palmira e di Matilde di Shabran allestite a Pesaro.
Mario Tronco e Leandro Piccioni hanno curato l’arrangiamento musicale, prendendo in prestito o distorcendo o trasfigurando (come dicono loro) alcuni brani della musica dell’opera di George Bizet, per alternare parti narrate con parti suonate e parti cantate.
E qui nasce il vero dramma: per le parti parlate si usa un napoletano per lo più incomprensibile, Cosè è l’unico a parlare veneto, per i brani cantati si lasciano accennare le note arie dell’opera con la voce naturale di chi non canta, quindi tutti i registri vengono abbassati alle capacità dell’attore, che accenna, sillaba, canticchia, gracchia (è difficile spiegare), Carmen canta con la voce roca del parlare, Cosè pigola con voce bassa e roca qualcosa come “La fleur que tu m’avais jetée”, ma la cosa più ridicola è Escamillo, il macho della storia, che canta in falsetto (Escamillo castrato è un ossimoro).
Beh, forse era una parodia e si doveva ridere, ma noi non l’abbiamo capita e siamo rimasti molto male.
Bravi gli interpreti, nonostante il taglio e la lettura dell’opera: Iaia Forte (Carmen), Roberto De Francesco (Cosè), Ernesto Mahieux (Lilà Bastià), Giovanni Ludeno (Tenente Zuniga), Anna Redi (Mercedes e coreografa), Kyung Mi Lee (Fraschina), Francesco Di Leva (’O Dancairo), Houcine Ataa (‘O Torero), Raul Scebba (‘O Rinacciato), Viviana Cangiano (Dorotea).
L’Orchestra di Piazza Vittorio formata da 11 elementi di varie etnie è una banda mista di napoletani e di immigrati diretta da Mario Tronco e composta da Emanuele Bultrini, Peppe D’Argenzio, Duilio Galioto, Kyung Mi Lee, Ernesto Lopez, Omar Lopez, Pino Pecorelli, Pap Yeri Samb, Raul Scebba, Marian Serban, Ion Stanescu.
Le scene sono di Sergio Tramonti, i costumi di Ursula Patzak, le luci di Pasquale Mari e il suono a cura di Hubert Westkemper.
Quello che secondo loro doveva essere un gioioso mescolamento di generi ha spesso creato chiasso e confusione.
Produzione del teatro stabile di Torino.