Insignito (per la seconda volta) solo da pochi giorni come migliore direttore dell’anno con il prestigioso Premio Abbiati, a Santa Cecilia torna Myung-Whun Chung con un programma dedicato agli amatissimi Beethoven e Mahler: il direttore coreano è sempre nel cuore del pubblico e dell’Orchestra che hanno accolto e salutato calorosamente.
Un legame visibilmente profondo rinnovato anche dalla “politica” del nuovo sovrintendente Michele Dall’Ongaro che in totale continuità con Bruno Cagli rafforza quel fil rouge fra gli artisti e l’Accademia romana. Merito anche della palpabile sensibilità del direttore coreano che ha aperto un programma poco sperimentale, ma sublime e squisitamente celestiale, che spazia fra due celebri sinfonie.
In apertura tutta l’energia della Seconda Sinfonia di Beethoven, in bilico fra il Settecento e l’Ottocento dove Chung si destreggia fra la grazia del Larghetto, il ritmo acceso dello Scherzo e la giocosità del Finale.
Cuore pulsante della serata resta la dolcissima Quarta Sinfonia di Mahler (che chiude la Tetralogia del compositore) inconfondibile con i toni celestiali che virano bruscamente nella Marcia nell’altalena vivace del primo movimento. È solo un attimo però la danza macabra si spegne in un lento, dolcissimo e impercettibile sussulto, un soffio leggerissimo che rapisce l’anima e mostra l’abilità di Chung e la grandiosità tecnica dell’Orchestra.
La dolcezza celestiale si conclude con la voce del soprano, Sophie Karthäuser, un’apparizione in rosa, con il lied finale La vita celestiale (dal Corno magico del fanciullo) che rimanda al sogno lirico, alla visione immaginaria di un bambino dell’eternità. Un grande successo per uno degli ultimi appuntamenti della stagione sinfonica che nel prossimo weekend vedrà sul palco Christoph Eschenbach impegnato con la Quinta di Šostakovič e la Sinfonia Concertante di Mozart.