L’anniversario della Grande Guerra ha determinato il fiorire in ogni settore della cultura di una miriade di eventi che, pur essendo sacrosantamente utili per ricordare e per non ripetere i medesimi errori, hanno suscitato un po’ di saturazione sull’argomento tanto da determinare qualche esitazione su proposte come La notte che il nulla inghiottì la terra, spettacolo che racconta le drammatiche vicissitudini di un alpino che diviene emblema dei novantamila sfortunati i quali durante la Seconda Guerra Mondiale non sono tornati dalla Campagna di Russia.
Si è assistito, invece, a una straordinaria e sorprendente prova attoriale di Michele Bottini che – diretto in modo sapiente ed equilibrato da Marco Merlini coautore del testo insieme a Emanuele Fant – ha raccontato con toni misurati e coinvolgenti e con un ritmo sostenuto e serrato le peregrinazioni durante la Ritirata dal Don (tragico epilogo della Campagna di Russia di cui è stato protagonista l’esercito italiano tra fine 1942 e inizio 1943) dell’alpino Rolando Trentini, 46ª Compagnia, Battaglione Tirano. Il protagonista/narratore ha tenuto viva l’attenzione trascinando razionalmente ed emotivamente gli spettatori nella vicenda con l’immediata spontaneità ‘di chi l’ha vissuta’ tanto da sentire quasi il profumo delle nostre verdi montagne, la tagliente sensazione del gelo delle lande russe, inusuale e sconcertante alle nostre latitudini e sui nostri monti, il silenzio di quella infinita pianura che ricoperta di polvere e nei mesi freddi di ghiaccio e neve rimanda il sordo suono dei passi di scarponi che stanno uniti con mezzi di fortuna quando non di piedi che avanzano ‘protetti’ da brandelli di coperte e il suono lugubre della battaglia…
Se la campagna di Russia di Napoleone non è stata maestra, ancora più sconvolgente risulta l’insipienza irresponsabile delle ‘alte sfere dell’esercito’ che hanno spedito nelle lande russe le povere vittime con equipaggiamenti più che scadenti a cominciare dalle scarpe – elemento fondamentale per chi deve percorrere migliaia di chilometri a piedi – in similpelle e altre ‘amenità’ del genere, evidenziando addirittura uno scadimento rispetto alle guerre di fine ‘800…
Poco importa che il nostro eroe – partito con destinazione Caucaso e dirottato verso il Don per compensare le numerose perdite subite dalla Divisione Sforzesca – non corrisponda a una persona realmente esistita, ma sia frutto di una rielaborazione letteraria peraltro riuscitissima di alcune vite vere perché proprio l’aver fatto confluire in lui memorie colte da lettere, libri, canzoni popolari… lo rende emblema di tanti eroi e rappresentazione tangibile del Milite Ignoto.
Un alpino inizialmente ciarliero che parla un italiano sgrammaticato, popolare, grezzo e incolto (ottima la scelta di non farlo esprimere in dialetto come avviene prima del 1954 quando Mamma Televisione unisce linguisticamente la Penisola), pieno di entusiasmi, comicamente ignorante su geografia, usi e costumi della Russia (oggi cosa è cambiato al riguardo…), onesto, rispettoso verso la cultura fascista dominante (quanti anche oggi, epoca in cui il livello culturale dovrebbe essere più alto – formazione scolastica sempre più superficiale e analfabetismo di ritorno permettendo – riescono a distinguere e a guardarsi dai falsi idoli di destra e di sinistra, falsi oratori che imbambolano le folle con il nulla…), legato alla sua terra, alla sua donna e ai suoi amici, entusiasta dell’avventura cui è chiamato: un soldato qualsiasi che ama i propri compagni, apprezza i superiori e vede venir meno il tutto così tragicamente.
Encomiabile lavoro, ritmato dalle dolci e melanconiche note della fisarmonica di Davide Baldi, in grado di affascinare spettatori di ogni età e sicuramente anche quei giovani – sempre vituperati per la loro vacua superficialità: ma non sono forse gli adulti che per evitare la fatica di educare li lasciano crescere ignoranti e senza guida? – che spesso conoscono e sanno poco perché non sono loro offerte occasioni intelligenti e ghiotte come questa.