La Compagnia Mauri/Sturno con il progetto “Giovani – Un futuro nel Teatro” promuove l’accesso alla professione teatrale di giovani attrici e attori, consentendo loro di entrare in contatto con professionisti esperti.
In quest’ambito si inserisce l’esperienza registica della giovane Ilaria Testoni che si cimenta in un personale adattamento dell’opera più rappresentata del Bardo. Da tempo sulla scena in significative collaborazioni con grandi del teatro come Mario Scaccia, Glauco Mauri, Gabriele Lavia e Walter Pagliaro, la regista fornisce una messa in scena con un’ottica femminile, sostituendo Leonato, governatore di Messina e padre di Ero, con la figura della madre della ragazza come nume tutelare del suo destino, nobildonna di una località indefinita.
La rivisitazione registica inserisce anche un elemento di metateatro che amplifica il carattere giocoso e farsesco dell’opera, ridimensionando gli elementi tragici e drammatici. All’apertura del sipario, infatti, una maldestra compagnia di attori cerca di mettere in scena la commedia, ma un temporale improvviso li mette in fuga e cala il sipario. Graziose testine di ragazze sbucano dalle pieghe del rosso velluto enunciando aforismi, e la rappresentazione riprende.
I personaggi sono ridotti all’essenziale, solo quelli funzionali alla vicenda, come essenziale e minimalista è la scenografia di Bruno Vitale.
La vicenda è ambientata da Shakespeare a Messina nel 1600, tra le mura di un palazzo patrizio dove viene ospitato Don Pedro principe d’Aragona tornato dalla guerra, in compagnia del fido conte Claudio, del malvagio fratello Don Juan e dell’ufficiale Benedetto.
Il conte si innamora, ricambiato, di Ero con l’approvazione materna, ma il perfido Juan ordisce trame per ostacolare il matrimonio disonorando la ragazza agli occhi del promesso che la ripudia all’atto delle nozze. Intanto la cugina Beatrice e Benedetto mettono in campo una loquela irrefrenabile di frizzi, lazzi, battibecchi, rimbrotti, invettive, schermaglie, giuramenti di eterna indifferenza che, più che accentuare il distacco sono una tattica di avvicinamento.
L’inganno fa precipitare Ero in uno stato catatonico simile alla morte, tale è stato il rumore prodotto con chiacchiere, allusioni, maldicenze, tranelli. Tante parole a nulla approdano, il complotto viene sventato e l’amore trionfa: sia i romantici Ero e Claudio che i refrattari Beatrice e Benedetto tendono all’amore, e il titolo si tramuta in locuzione popolare.
Tragicommedia, commedia romantica, commedia giocosa in una commistione di generi basati su elementi speculari che si intrecciano in un chiasmo di cui lo spettatore è consapevole testimone.
L’ossatura della commedia sono i bisticci verbali e arguti sostenuti con briosa verve da Laura Garofoli e spavalda arroganza da Mauro Mandolini.
I costumi di Cristina Picuti sono colorati ed estrosi rendendo i personaggi elementi scenografici. Don Pedro (Valerio Camelin) e il conte Claudio (Camillo Marcello Ciorciaro) non hanno l’allure di soldati reduci dalla battaglia quanto piuttosto di giovani goderecci con capigliatura rasta, che sembrano divertirsi un mondo a far parte della compagnia di giro che tenta di rappresentare il testo di un autore classico, ma tutti inciampano in incidenti grotteschi che ne rivelano il dilettantismo: la suggeritrice fa capolino porgendo la battuta a chi l’ha dimenticata, oppure ancora, nella sovrapposizione fra giocosità del testo originale e approssimazione della sgangherata compagnia, l’attore che interpreta Carlo, dimentico che il suo personaggio è promesso a Ero, corteggia la giovane serva. Altrettanto briosi e frizzanti tutti gli altri: Barbara Logaglio nelle vesti di Donna Lea è più vezzosa della pudica figlia Ero interpretata da Susanna Lauletta, Roberto Di Marco è Borraccio, Virginia Arveda è la serva Margherita, Paolo Benvenuto Vezzoso è il funereo Don Juan.