Questa rubrica non vuol rappresentare una panoramica di quanto esce sugli schermi nel mese, né una selezione del meglio, ma semplicemente l’indicazione di opere che presentano motivi d’interesse.
Vorrebbe inoltre essere d’aiuto a chi volendo recarsi al cinema cerca un film adatto ai suoi gusti o allo stato d’animo del momento: non sempre infatti si ha voglia di problematiche sociali o esistenziali, c’è anche il momento in cui andare al cinema significa, giustamente, fuggire dal quotidiano per distendere la mente con due risate (ridere è un diritto) o fuggire nel sogno identificandosi con gli ‘eroi’ dello schermo o farsi catturare dall’enigma di un thriller.
La grandezza del cinema è di essere un diamante con mille facce: si può sempre trovare quella adatta al momento che si sta vivendo.
L’importante è andare al cinema e non guardare il film sullo schermo di casa: vedere un film è un rito e come tutti i riti ha bisogno di un tempio.
Quello che la rubrica si propone, nei limiti del possibile, è evitare l’inutile imbecillità, la volgarità fine a se stessa e l’idiozia: ce ne sono già troppe nella vita quotidiana fuori dal cinema.
Poiché però sbagliare è umano, si chiede scusa in anticipo per eventuali errori.
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Mesi precedenti: MARZO 2015 – FEBBRAIO 2015
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Genere: drammatico
Regia: Susanne Bier
Cast: Nikolaj Coster-Waldau, Maria Bonnevie, Nikolaj Lie Kaas, May Anderson, Ulrich Thomsen
Sinossi: In una città danese, forse Copenaghen, Andreas e Simon sono una coppia di poliziotti. compagni di pattuglia e buoni amici nella vita: Andreas è sposato con una moglie che sembra una fotomodella, ha un bimbo di sette mesi (Alexander) e una splendida casa (essere poliziotti in Danimarca sembra un lavoro invidiabile e remunerativo), mentre Simon non ha figli e si è da poco separato dalla moglie trovando consolazione nell’alcol. Un giorno Andreas e Simon sono chiamati a sedare una rissa tra un violento giovane tossico e la sua compagna e scopre che la coppia ha un bambino dell’età del suo costretto a vivere in condizioni tali che ne mettono a rischio la sopravvivenza. Tenta vanamente di farselo dare in affido per assicurargli un ambiente sano e confortevole. Il dramma è dietro l’angolo: Alexander improvvisamente muore e la madre disperata ‘dà fuori di testa’ e minaccia il suicidio. Andreas entra in una crisi profonda non sapendo come ridare alla moglie la voglia di vivere. Un giorno ha un’idea… Il film si sviluppa d’ora in avanti su due piani (uno thriller e uno psicologico) che a volte s’incrociano. Il finale a sorpresa getta una luce diversa su molti aspetti della vicenda.
Origine: Danimarca
Anno: 2014
In sala dal 2 aprile 2015
Note: Prima regia nel suo Paese natale per Susanne Bier – dopo l’Oscar per il miglior film straniero conseguito con In un mondo migliore (film del 2011) e il successivo periodo americano – e conseguente ritorno alle tematiche e allo stile a lei più congeniali: temi duri e drammi morali che spingono (o dovrebbero farlo) lo spettatore a interrogarsi sulle sue reazioni in analoghe circostanze. Cuore filosofico del film è il quesito: “una scelta sbagliata fatta per una giusta causa è giustificabile?”. Da qui partono l’esplorazione lungo il confine (a volte veramente labile) tra bene e male e lo choc che la regista – fedele al principio più volte enunciato che “a volte bisogna spingere le storie all’estremo” – vuol dare allo spettatore con una storia ai limiti del possibile, ma non impossibile perché molte sono le vicende di cronaca che in qualche modo possono essere in parte simili: “Il mondo è peggio di quello che mostra il cinema” ama infatti ripetere la Bier. Second chance è un film duro e cupo che comunque affascina, ma poche volte coinvolge emotivamente lo spettatore sia perché non trova empatia con nessuno dei protagonisti sia perché il cast pur fornendo una prova professionalmente valida non raggiunge mai il pathos necessario per coinvolgere in vicende così bordline.
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TEMPO INSTABILE CON PROBABILI SCHIARITE
Genere: commedia
Regia: Marco Pontecorvo
Cast: Luca Zingaretti, Pasquale Lillo Petrolo, John Turturro, Carolina Crescentini
Sinossi: Giacomo ed Ermanno sono di mezza età e hanno percorso insieme un lungo tratto di vita pur con ruoli diversi (restando amici forse per questo): Giacomo è il proprietario di una piccola azienda (produce divani nelle Marche, una delle aree economicamente più felici del nostro Paese) che gestisce come se fosse una cooperativa, Ermanno è un operaio di sinistra molto politicizzato. Per anni gli affari sono andati bene con risultati positivi per tutti, ma in tempi di deflazione e recessione anche le conduzioni più oneste (spesso proprio queste) entrano in crisi. È il caso dell’azienda di Giacomo che sta per soccombere soprattutto perché strangolata dal fisco, quando nel sottosuolo del cortile miracolosamente si scopre che c’è il petrolio. Come reagiscono i due amici all’improvviso colpo di fortuna? Riuscirà la loro amicizia cementata da tanti anni di difficoltà a reggere all’improvviso benessere? Commedia non banale che tratta con un sorriso temi seri come lavoro e vizi e virtù comportamentali del nostro Paese.
Origine: Italia
Anno: 2015
In sala dal 2 aprile 2015
Note: Il simpatico film di Marco Pontecorvo è una delle rare occasioni per vedere Luca Zingaretti – abbandonati i panni del commissario Montalbano – in un ruolo non drammatico: sono infatti pochi i registi che ne hanno saputo percepire e sfruttare la capacità di travasare nella commedia quelle caratteristiche di misura ed equilibrio proprie della sua professionalità. Certo anche in questo genere i suoi personaggi non sono mai volgari o banali: è il caso di Giacomo – piccolo imprenditore passato di colpo dall’essere sull’orlo del collasso economico a vivere un imprevisto e improvviso colpo di fortuna – che si rivela uomo solido e mosso da valori importanti nel momento più difficile, quello della fortuna che nella realtà spesso fa ‘perdere la testa’ a chi la ‘subisce’. Tempo instabile con probabili schiarite (splendido titolo che parafrasa perfettamente le usuali indicazioni dei responsabili economici dei recenti governi che si sono succeduti alla guida del Paese) per l’impegno civile e sociale che si legge in controluce – non urlato, ma non per questo meno deciso – e per lo stile è tra le commedie più recenti una di quelle che maggiormente possono essere collegate alla grande tradizione della ‘Commedia all’italiana’. Speriamo non resti un caso isolato.
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Genere: drammatico
Regia: Jean Marc Vallée
Cast: Reese Witherspoon, Laura Dern, Gaby Hoffmann, Michiel Huisman, Kevin Rankin, Charles Baker, Thomas Sadoski
Sinossi: Cheryl Strayed (una straordinaria Reese Witherspoon meritatamente tra le candidate all’Oscar per la miglior attrice protagonista) oppressa da un’esistenza tormentata a partire da un’infanzia segnata dalla violenza paterna, successivamente dal fallimento del matrimonio con Paul, dall’essere divenuta eroinomane e dalla morte dell’amatissima madre con cui aveva un rapporto simbiotico è in piena crisi esistenziale. Ha però la forza di reagire e uscire da questo baratro psicologico lanciandosi in un viaggio in solitaria alla ricerca di se stessa: viaggio fisico e soprattutto mentale in cui metabolizzare a contatto con la natura e i suoi splendidi panorami e le improvvise difficoltà i traumi che avevano scandito la sua esistenza. Con una buona dose d’incoscienza sceglie (pur non avendo preparazione) uno dei trekking più difficili anche per degli esperti: il Pacific Crest Trail, un itinerario di oltre 4.000 chilometri sulla costa ovest degli Stati Uniti del quale percorre 1.660 km da Mojave all’Oregon in un’alternanza di deserti rocciosi, montagne innevate e rigogliose foreste. Wild si avvale, oltre alla stoica interpretazione di Reese Witherspoon (costretta non solo a camminare per gran parte del film, ma a farlo anche con lo zaino realmente colmo come quello della Strayed per rendere maggiormente realistiche camminata e fatica), di una splendida e commovente Laura Dern nel ruolo della madre Bobbi che riversava sui figli quell’amore di cui l’aveva privata un’esistenza resa ancor più travagliata da compagni violenti e dediti all’alcol.
Origine: Usa
Anno: 2014
In sala dal 2 aprile 2015
Note: Il film è tratto dal libro autobiografico di Cheryl Strayed che ne ha seguito da vicino la realizzazione anche con un’assidua presenza sul set e ha conferito al lavoro degli attori e del regista un notevole apporto di veridicità. Il trekking estremo vissuto non come avventura, ma come ricerca di se stessi è un tema apparso più volte in questi anni caratterizzati da crisi esistenziali dovute al crescere delle tensioni psicologiche e delle insicurezze e alla fuga nel falso nirvana delle droghe. Come non ricordare il bellissimo film di Sean Penn Into the wild – Nelle terre selvagge (2007) e quello altrettanto intrigante di John Curran Tracks – Attraverso il deserto (2013)? Tema centrale è sempre il confronto tra l’essere umano e una natura incontaminata e inflessibile che diviene scuola di coraggio e fonte di crescita personale e di determinazione. Jean Marc Vallée innesta nel racconto del viaggio frammenti del passato che gradualmente fanno capire i motivi profondi di una scelta così estrema e il percorso interiore di rigenerazione è illustrato con effetti di grande autenticità dalle inquadrature in cui è ripreso il volto di Cheryl (come proiezione della sua psicologia) sullo sfondo dell’immensità di deserti e montagne. Wild coinvolge, non annoia mai e tiene lo spettatore con il fiato sospeso, quasi a camminare accanto alla protagonista e con lei trarre la forza di continuare avendo coscienza a ogni passo di poter smettere quando si vuole. Un film originale se non altro per la realtà umana e psicologica che trascrive e da vedere anche per le interpretazioni di Reese Witherspoon e Laura Dern e per gli incredibili paesaggi che non è facile andare a ammirare di persona.
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Genere: commedia
Regia: Paolo Cevoli
Cast: Paolo Cevoli, Antonio Orefice, Luca Lionello, Massimo De Lorenzo, Matteo Cremon, Paola Toomas Kaldaru, Giuseppe Spata, Nicola Adobati, Giuseppe Salmetti, Massimo Fanelli, Paola Lavini, Silvana Bosi, ErnestoMahieux
Sinossi: 1917, la Grande Guerra è in pieno svolgimento e il fronte è concentrato sulle montagne della parte centro orientale delle Alpi. Gino Montanari (un ottimo e misurato Paolo Cevoli anche alla sua prima regia) è un maestro elementare romagnolo, non più giovanissimo, ateo, donnaiolo e anti- interventista. Per le sue idee che non nasconde nemmeno in classe è costretto dal preside ad arruolarsi volontario negli Alpini se vuole evitare l’espulsione da tutte le scuole del Regno. ‘Obtorto collo’ Gino deve abbandonare il calore e gli ottimi piatti della mamma (che logicamente non capisce perché alla sua età abbia voluto arruolarsi) e partire per il fronte. È assegnato a un piccolo avamposto in Valtellina (bellissime le panoramiche delle splendide montagne e dei ghiacciai) come eliografista: naturalmente non sa nulla né di montagna, né di trasmissioni in morse ed è anche un po’ in difficoltà a capire e orientarsi. Fortunatamente (per lui) gli è assegnato come assistente uno scugnizzo di Capri (molto bravo Antonio Orefice) che abituato a industriarsi in mille modi capisce subito problemi e situazioni trovando le soluzioni. Dall’altra parte del fronte gli Austriaci trasmettono in morse sempre lo stesso messaggio: “Sursum Corda” (in alto i cuori). Che significato avrà? Quali saranno i destini del maestro e dei suoi commilitoni?
Origine: Italia
Anno: 2015
In sala dal 2 aprile 2015
Note: Ottimo l’esordio come regista di Paolo Cevoli attore teatrale con un’intelligente vena comica e ironica che dispiega in monologhi in cui racconta la vita di uomini illustri attraverso i loro ‘servitori’. Anche in Soldato Semplice gli eventi drammatici della Grande Guerra sono narrati facendo ridere non in modo volgare o con gag, ma mettendo bonariamente in luce le caratteristiche di ciascuno, legate alla società e alla regione di provenienza. Ne deriva un affresco autentico di quello che è stata per molti Italiani la guerra: una colossale, anche se involontaria, occasione per conoscersi reciprocamente e per tentare di capirsi, fatto assai arduo parlando ognuno quasi esclusivamente il proprio dialetto in modo stretto. Ecco quindi gli alpini bergamaschi difficili da comprendere al di fuori delle proprie valli, figuriamoci da uno scugnizzo di Capri, o da un maestro romagnolo. Soldato Semplice è anche un’intelligente carrellata di caratteri: il romagnolo molto vitale e un po’ fanfarone, il tenente che aveva fatto la guerra in Africa e un po’ paranoico, il soldato sempre pronto a fare scherzi e quello eroico solo a parole… Tutti autentici che rispecchiano quell’umanità mandata a combattere dalle campagne dell’Umbria o della Sicilia in una guerra di cui non sapevano nulla e non capivano lo scopo. Cevoli non poteva non mettere l’accento, anche se con bonarietà, su una tipica figura italiana: il ‘raccomandato’, l’inetto e patetico capitano Vadalà. Purtroppo sono esistiti realmente e hanno combinato un sacco di guai e… di morti. Infine vedere buttato dalla finestra quella sommatoria d’ipocrisia e retorica che è il libro Cuore che ha perseguitato la mia generazione è stata una vera gioia. Finalmente! Lancio che è anche simbolo di Soldato Semplice. La retorica è, infatti, buttata via e il film celebra la Grande Guerra in occasione del centenario nel modo migliore: parlando dei giovani italiani con semplicità e ricordando che di qualsiasi provenienza e origine sono stati capaci compiere eroismi per fare il proprio dovere.
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Genere: azione
Cast: Vin Diesel, Paul Walker, Dwayne Johnson, Jason Statham, Kurt Russell, Michelle Rodriguez, Jordana Brewster, Chris “Ludacris” Bridges, Lucas Blak, Djimon Hounsou, Tony Jaa, Elsa Pataky, Tyrese Gibson, Nathalie Emmanuel, Ronda Rousey
Sinossi: Diretto per la prima volta dall’australiano James Wan – esperto regista di suspense e con ottimi successi nell’horror – giunge sugli schermi Fast & Furious 7, settimo episodio di una delle saghe più longeve del cinema ad alto budget (il primo risale al 2001 e da allora è stato un crescendo di incassi). Dopo aver distrutto la banda di Owen Shaw e ucciso lo stesso Owen (sesto episodio), Dom Toretto (Vin Diesel), Bryan O’Conner (Paul Walker) e il resto di questa squadra speciale al limite della legalità sono tornati negli Stati Uniti per godere il meritato riposo e la famiglia se, come Bryan, hanno moglie e figli. Non hanno fatto però i conti con Deckard Shaw (Jason Statham) deciso a vendicare il fratello e a distruggere Toretto e il suo gruppo. Fast & Furious 7 inizia con un grosso scatolone regalo consegnato da un corriere a casa Toretto, solo che… esplode distruggendo in parte la villetta. Toretto, Bryan e famiglia si salvano, ma la guerra è cominciata. Unica possibilità di salvezza è recuperare (da un sanguinario killer delle forze speciali inglesi in cerca di vendetta) per il governo statunitense l’invenzione di un certo Ramsey che ha realizzato un dispositivo capace di localizzare qualsiasi oggetto o persona. In cambio potranno utilizzarlo per identificare i movimenti di Shaw ed eliminarlo prima che uccida ancora (ha già colpito due membri del gruppo a Tokyo e a Los Angeles) Gli ingredienti per ottenere un film ad alto tasso di adrenalina ci sono tutti e le sequenze molto spettacolari in ambientazioni che vanno da Abu Dhabi all’Azerbaigian si alternano agli scontri armati e naturalmente alle folli corse in auto che sono state l’origine della saga. È cinema allo stato puro e per goderlo occorre abbandonarsi nella poltrona e farsi trascinare da quanto avviene sullo schermo senza porsi domande e cercare coerenza e realismo. Alcune sequenze, però, sono caratterizzate da eccessi ‘da videogame’.
Origine: Usa
Anno: 2015
In sala dal 2 aprile 2015
Note: Un particolare motivo d’interesse è la morte di Paul Walker avvenuta il 30 novembre 2013 a riprese del film da poco iniziate e ironia del destino in un incidente automobilistico. In quel momento erano da girare ancora molte scene con protagonista l’ex agente FBI Bryan O’Conner per cui il regista ha dovuto provvedere a una parziale riscrittura del testo e a ricorrere a trucchi digitali e a controfigure. Per queste ultime la produzione si è avvalsa dei due fratelli di Walker (Caleb e Cody) chiamati a prestare i loro corpi, mentre al resto hanno pensato gli effetti speciali elaborati dalla Weta Digital (casa di produzione neozelandese iperspecializzata). Il risultato complessivo è stato eccellente: pur sapendolo è difficilissimo identificare le sequenze girate da Paul rispetto a quelle ‘costruite’ dopo la sua morte. Una prospettiva da brividi e un po’ preoccupante. Fast & Furious 7 ha come cardine il filo conduttore della saga cioè le corse su strade normali facendo slalom a folle velocità in mezzo al traffico. L’idea originaria (nel 2000) è stata, infatti, ispirata da un articolo della rivista Vibe che raccontava le gesta (ovviamente fuorilegge) di una squadra di giovani (con un proprio codice di comportamento) dediti alle corse clandestine a East Los Angeles e che finanziava con piccole rapine gli elevati costi di elaborazione necessari per creare i propri bolidi. Il successo della saga (dall’iniziale incasso di 207 milioni di dollari è arrivata a 2,4 miliardi a film) in tutto il mondo e la sua continuità per circa tre lustri con nuove generazioni di spettatori non può essere spiegata solo dall’immaginarsi di essere i protagonisti di quelle gare. Nella sua linearità Fast & Furious è portatore di alcuni valori universalmente radicati: la famiglia, la ‘squadra’ vissuta come ampliamento della famiglia e quindi con gli stessi doveri di rispetto e lealtà, il battersi per una giusta causa senza, però, mai colpire alle spalle e il clima di coinvolgimento emotivo-familiare che registi, autori e attori sono riusciti a dare alla saga.
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Genere: drammatico
Regia: Michele Placido
Cast: Ambra Angiolini, Michele Placido, Raoul Bova, Valeria Solarinno
Sinossi: Laura (Ambra Angiolini) e Giorgio (Raoul Bova) sono una coppia innamorata e affiatata e desiderano ardentemente un figlio. La vita scorre serena tra l’affetto di parenti e amici e la stima generale nel piccolo centro siciliano in cui vivono (Placido ambienta, invece, la vicenda a Bisceglie, dove gira il film). Un giorno però succede l’imprevedibile: Laura viene violentata per strada. Al trauma dell’evento si aggiunge quello della paternità di un possibile figlio: Giorgio o il violentatore? Al dramma della violenza subita da Laura si aggiunge quello assai più profondo riguardante le coscienze e vissuto da entrambi i coniugi: tenere o no il figlio? Gli scritti di Pirandello da cui il film è ispirato si muovono al di fuori delle possibili convinzioni religiose ed essendo ambientati negli anni venti del secolo scorso non esistevano gli attuali esami per identificare la paternità. Il dilemma era quindi radicale e provocava due drammi eguali e opposti che il film mette in luce: quello di Laura che comunque sente realizzarsi il desiderio di avere un figlio e quello di Giorgio di essere eventualmente padre di un figlio non suo e in una situazione non scelta. A questi si aggiunge un terzo dramma solo apparentemente banale: qualunque sia la decisione che Laura e Giorgio prendono diventano, forse per sempre, oggetto delle critiche di una parte della comunità. La scelta è il classico film da riflessione e dibattito (e anche di un’onesta autoanalisi) perché l’Italia di oggi nonostante i molti enunciati non è poi così diversa da quella di Pirandello, e non solo nei piccoli centri.
Origine: Italia
Anno: 2015
In sala dal 2 aprile 2015
Note: vedi recensione
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SE DIO VUOLE
Genere: commedia
Regia: Edoardo Falcone
Cast: Marco Giallini, Alessandro Gassmann, Laura Morante, Ilaria Spada, Edoardo Pesce, Enrico Oetiker, Carlo De Ruggieri, Giuseppina Cervizzi, Alex Cendron, Silvia Munguia, Anna Foglietta
Sinossi: Tommaso (Marco Giallini) è uno stimato cardiochirurgo che si muove nell’ospedale con sprezzante sufficienza verso i giovani collaboratori e gli infermieri; sicuro di sé all’eccesso, ha relegato il cuore a essere unicamente il muscolo su cui opera. E anche in famiglia la musica non cambia: la moglie Carla (Laura Morante) da giovane affascinante pasionaria contestatrice è divenuta una sfiorita e annoiata signora borghese e la figlia Bianca (Ilaria Spada) i cui interessi non vanno oltre i gossip e le soap televisive vive con Gianni (Edoardo Pesce), un agente immobiliare di appartamenti di lusso appassionato del suo lavoro, ma assolutamente privo di cultura. Tommaso li considera entrambi deficienti e li tratta di conseguenza. Completamente diverso è invece l’altro figlio, Andrea (Enrico Oetiker), brillante studente di Medicina e chiaramente destinato a seguire le orme paterne: per il nostro cardiochirurgo è motivo di soddisfazione. Andrea però negli ultimi tempi è diverso e una sera guardando dalla finestra Tommaso vede che saluta molto affettuosamente un amico. Pensando che sia gay raduna la famiglia e da libero pensatore democratico dà le direttive: quando Andrea lo dirà, nessuno stupore e sconcerto, tutto come prima perché è un ragazzo come un altro. Giunge il giorno in cui Andrea raduna la famiglia per dare un annuncio, ma non è quello atteso perché il ragazzo informa che… ha deciso di diventare sacerdote. Per l’ateo Tommaso tegola più grande non poteva capitare. Fa buon viso a cattiva sorte, comincia a indagare e identifica l’origine della vocazione del figlio in Don Pietro (Alessandro Gassmann), un prete sui generis che sa parlare ai giovani. È lui il nemico e Tommaso comincia la sua battaglia…
Origine: Italia
Anno: 2015
In sala dal 9 aprile 2015
Note: Al suo esordio come regista Edoardo Falcone ha centrato un obiettivo non facile: fare una commedia brillante, diversa dagli standard usuali, che cerca di far sorridere lo spettatore, ma soprattutto di farlo riflettere. I temi che pone sul tappeto sono molti: dall’appassimento degli ideali giovanili alla mancanza di umanità nei confronti di collaboratori e famigliari fino al ruolo importante che la fede può avere in ciascuno. Asse portante di Se Dio vuole sono i dialoghi tra Tommaso e Don Pietro: scoppiettanti, umani, ricchi di sorprese e interpretati da due attori che esprimono il meglio di sé fornendo prestazioni notevoli per misura ed espressività. Tutto il film è sostenuto da un’ottima sceneggiatura (scritta dal regista e da Marco Martani) ricca di colpi di scena e priva di lungaggini. I personaggi li incontriamo quasi tutti nella quotidianità: quante sono le ricche donne annoiate (le povere è difficile che si annoino dovendo inventare sempre come arrivare a fine mese) che hanno tramutato il giovanile impegno sociale in attività mondano-caritatevoli? Ognuno può farne una lista più o meno lunga così come di professionisti o dirigenti molto bravi nella loro attività e tanto pieni di sé da ritenersi Dei, ma assolutamente vuoti per tutto il resto. Purtroppo è, invece, molto breve la lista che dovrebbe essere la più lunga: quella dei Don Pietro, speriamo perché a differenza degli altri (quelli che amano potere, potenti e ricchezza) non si mettono mai in mostra e spesso i loro nomi si sanno – se si sanno – solo quando non ci sono più: eppure sono gli unici che compiono veramente la loro missione di consolare e aiutare chi ha problemi e di insegnare che “Dio ama tutti, ma che per poterlo amare dobbiamo voler bene a noi stessi” che è l’opposto dell’essere egoisti e pieni di sé.
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Genere: fantascienza
Regia: Neill Blomkamp
Cast: Hugh Jackman, Sigourney Weaver, Sharito Copley, Dev Patel, Ninja, Yo-Landi Visser, Jose Pablo Cantillo
Sinossi: In un’ipotetica squallida e crudele metropoli (il film è stato girato a Johannesburg) in un futuro imprecisato, le autorità per arginare la violenza che aveva raggiunto livelli di impressionante pericolosità hanno dotato la polizia di un esercito di Scout, poliziotti-robot inventati dal giovane e geniale ingegnere Deon (Dev Patel) che sta studiando un modello di seconda generazione capace di pensare e agire come un essere umano. L’esperimento riesce e ‘nasce’ Chappie, un robot che è (e parla) come un bambino: deve imparare tutto e ha bisogno di un padre. La differenza con l’uomo è che se il ‘cervello’ deve essere nutrito e formato il corpo è subito di dimensioni adulte e le batterie che gli danno vita ogni tanto devono essere ricaricate (gli humandroid ancora non hanno la gioia di assaporare una bistecca per crescere…). Quale miglior padre di Deon? Purtroppo Chappie cade nelle mani di una banda di criminali (in verità assai scalcinata) che tentano in ogni modo di rimuovere i buoni insegnamenti di Deon per educarlo al crimine. Nella struttura in cui lavora il giovane ingegnere vi è un collega assai meno geniale, ma invidioso e bramoso di ricchezza il quale ha messo a punto una feroce macchina da guerra tentando invano di farla acquistare alla polizia. Per riuscirci sabota gli Scout provocando un disastro nell’ordine pubblico. La sua storia s’intreccia con quella di Deon…
Origine: Usa
Anno: 2015
In sala dal 9 aprile 2015
Note: Il film quando è apparso negli Stati Uniti, pur presentando un cast di notevole valore, non ha suscitato grandi entusiasmi e per una volta ritengo si possa essere d’accordo con le reazioni d’oltreoceano. Humandroid è un film rimasto in ‘mezzo al guado’: sotto certi aspetti è un racconto per bambini, ma la struttura generale ne sconsiglia la visione sia per la violenza di alcune scene sia per i temi trattati che necessitano di un livello di cultura e formazione certamente diverso da quello di un ragazzino. Blomkamp, infatti, mette in campo tematiche complesse come l’ordine pubblico e i limiti che deve avere l’azione repressiva e soprattutto quello dell’intelligenza artificiale: purtroppo lo svolgimento è spesso grossolano e sfilacciato e povero di idee. La presenza tra gli attori del duo musicale sudafricano Ninja e Yo-Landi Visser, che dà alla banda criminale un’aria punk e demenziale (è uno degli aspetti più simpatici del film che nelle sequenze in cui sono coinvolti si solleva) e uno spirito anarcoide, è peraltro avulsa dal ritmo e dall’impostazione generale del film.
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Genere: commedia
Regia: Stefano Consiglio
Cast: Ariane Ascaride, Helmi Dridi, Francesca Inaudi
Sinossi: Per il suo primo lungometraggio di finzione il grande documentarista Stefano Consiglio sceglie la commedia melò e ha la ‘fortuna’ di poter contare su una grande attrice come Ariane Ascaride che con lo stile e lo charme che le sono propri dà piacevolezza e profondità al film. Vedova da molto tempo, la sessantenne Adriana (Ariane Ascaride) vive a Bari (splendidamente fotografata) ed è infermiera in un ospedale locale. Francese trapiantata in Italia da moltissimi anni, conduce un’esistenza assolutamente tranquilla e senza emozioni: casa e lavoro con la sola variante di prendersi cura del nipotino quando la figlia (Francesca Inaudi) glielo affida con la storica frase “Tanto tu non hai niente da fare”… Un giorno in un corridoio dell’ospedale ‘inciampa’ in una barella su cui giace un giovane nordafricano (Mohamed) solo e impaurito. Adriana gli prende la mano e lo rassicura parlandogli in francese. Quell’atto di calore in un ambiente in cui solitamente è più facile trovare cortese indifferenza che spontanea umanità colpisce Mohamed (Helmi Dridi) che la cerca e come segno di gratitudine le porta a casa un mazzo di rose. Le visite si ripetono e Adriana s’innamora (ricambiata) di quell’arabo trentenne, bellissimo, fiero e dagli occhi splendidi. Riusciranno Adriana e Mohamed a superare il muro dei preconcetti?
Origine: Italia/Francia
Anno: 2015
In sala dal 9 aprile 2015
Note: La storia semplice e lineare di L’amore non perdona evita il rischio di divenire soggetto di un fotoromanzo rosa dai risvolti melodrammatici grazie all’abile regia d’esordio di Consiglio e all’apporto dei due protagonisti: l’ottimo Helmi Dridi e la splendida Ariane Ascaride che fa di Adriana un personaggio che difficilmente si può dimenticare. Lo spettatore la segue nel suo rifiorire, nel suo trarre vitalità e slanci giovanili dal rapporto con il trentenne Mohamed e nella sua lotta contro luoghi comuni e pregiudizi. Consiglio ne denuncia con delicatezza e senza retorica alcuni (e relative conseguenze) che fanno parte del quotidiano: l’innamorarsi di un anziano (ma chi ha mai detto che a sessant’anni si è anziani? Poi nel duemila le condizioni generali di vita e la sua durata media sono profondamente mutate rispetto ai secoli scorsi) fonte di compassionevole ironia se nella stessa fascia d’età e di scandalo (specialmente se è più giovane il maschio) se gli anni di differenza sono molti, il rapporto con un partner di diversa razza o religione fonte di dubbiose riserve e l’isolamento sociale, a volte anche familiare, che provoca il mix di tali preconcetti. Chi, invece, si preoccupa della psicologia, della vita e delle necessità degli ultrasessantenni? Il regista mette in luce una concezione – propria della nostra società ‘evoluta’ che considera gli anziani superflui e una spesa inutile per la società produttiva (da rottamare direbbe un noto personaggio) – secondo cui il massimo cui possono aspirare è essere baby setter gratuiti a disposizione delle necessità dei figli senza avere altre aspirazioni e sentimenti se non quelli derivati dall’essere nonni. Un momento di riflessione per chi come la figlia (ottima l’interpretazione di Francesca Inaudi) pone egoismo e sudditanza a false regole sociali come bussola della vita.
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Genere: drammatico
Regia: Fatih Akin
Cast: Tahar Rahim, Sevan Stephan, Shubham Saraf
Sinossi: A Mardin, in Turchia (nel 1916 – anno in cui hanno inizio le vicende narrate dal film – cuore dell’Impero Ottomano), vive una nutrita e prosperosa (nonostante il Paese sia impegnato nella Grande Guerra) comunità armena. Con la scusa di reclutare soldati per il fronte il governo ottomano – nonostante abbia ottenuto dagli Armeni un’ingente somma di denaro per garantirne l’immunità (meccanismo che ricorda l’accordo ‘economico’ tra Hitler e gli Ebrei) – ordina il reclutamento forzoso di tutti gli uomini armeni della città: tra questi il giovane fabbro Nazaret Manoogian (Tahar Rahim) che viene strappato alla moglie e alle due giovanissime figlie (gemelle): è iniziato il genocidio degli Armeni. Agli uomini ‘reclutati’, infatti, è tagliata la gola da banditi prezzolati per l’occasione sotto la protezione dell’esercito, mentre le donne sono deportate e costrette a estenuanti e spesso mortali marce. Nazaret sfugge miracolosamente alla morte, resta, però, muto ed è costretto a vivere in clandestinità. Non smette mai di sperare di ritrovare la sua famiglia e alcuni anni dopo viene a sapere che le due figlie sono ancora vive. Decide di ritrovarle e inizia una lunga marcia che dai deserti della Turchia lo porta attraverso Cuba negli Stati Uniti. Un’odissea lunga e punteggiata da incontri non sempre positivi…
Origine: Germania/Francia/Italia/Russia/Polonia/Turchia
Anno: 2014
In sala dal 9 aprile 2015
Note: Com’è fugace la gloria: fino a circa un secolo fa l’Impero Ottomano era una realtà politica (e militare) temuta e ossequiata, oggi – specialmente tra i giovani – pochi sanno della sua esistenza e del ruolo ricoperto in una vasta area a cavallo tra Europa e Asia. Il film di Akin introduce un tema stimolante e poco frequentato dalla filmografia europea: il genocidio del popolo armeno di fede cristiana. Argomento tuttora scottante considerando che i governi turchi (compreso l’attuale) si rifiutano di ammettere le storiche colpe verso la popolazione armena. Il padre pur essendo un buon film non raggiunge certamente il livello cui Akin ha abituato il pubblico fin dal film d’esordio Kurz und swchmerzlos (1997), vincitore del Pardo di bronzo al festival di Locarno, caratterizzando il successivo percorso artistico con punte d’eccellenza come il bellissimo La sposa turca (2004) vincitore del Festival di Berlino o Soul Kitchen che nel 2009 vince il premio speciale della giuria al Festival del cinema di Venezia. Quest’ultima sua opera, infatti, dopo un inizio con sequenze di notevole potenza emotiva da cui traspare l’esecrazione di quanto avvenne un secolo fa a danno degli Armeni (scene che gli hanno procurato le violenti proteste dei molti negazionisti tuttora esistenti, anche nell’attuale governo turco), passa dalla storia di un popolo al melodramma familiare perdendo intensità mano a mano che il protagonista si allontana dalla terra natale. Si giunge così dopo la parentesi cubana al finale nelle distese del Nord Dakota notevoli per la bellezza dei paesaggi, ma in cui un tema importante come le angherie che subisce come immigrato non è assolutamente approfondito. L’edizione italiana ha puntato sull’aspetto melodrammatico intitolando il film Il padre e tradendo il titolo originale The cut (Il taglio) molto più incisivo e consono al pensiero del regista che pone in primo piano il taglio alla gola con cui venivano uccisi gli Armeni cristiani e in particolare quello per il quale Nazaret ha perso la voce e quindi la possibilità di farsi ascoltare, simbolo di quanto avvenuto al popolo armeno. Il padre è comunque un film da vedere perché nonostante i limiti fa conoscere una pagina di storia europea ignorata e fornisce alcuni flash sullo sfruttamento e l’odio di cui erano vittime gli immigrati negli Stati Uniti. È passato un secolo, ma nel mondo poco è cambiato.
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Genere: drammatico
Regia: Kornél Mundruczó
Cast: Zsófia Psotta, Luke e Body, Sándor Zsótér, Lili Horváth, Szabolcs Thuroczy, Lili Monori, László Gálffi
Sinossi: Hagen è un cagnone molto dolce e intelligente frutto di un incrocio tra un Labrador e uno Shar Pei e quindi ha la ‘colpa’ di non essere di “razza ungherese” come recita una legge che impone un forte balzello sui cani meticci. Hagen ha una padroncina molto affezionata, la tredicenne e volitiva Lilli il cui padre – separato e pieno di astio verso l’ex moglie e in parte verso la figlia – costretto dalla denuncia di una vicina a pagare la tassa preferisce abbandonare il cane sotto il raccordo anulare di Budapest. Tra padre e figlia la frattura è completa. Lilli va alla ricerca di Hagen, ma questi inseguito dagli accalappiacani è costretto a fuggire divenendo protagonista di una odissea tra ‘cattivi’ di tutte le tipologie (addestratori di cani da combattimento, equivoci poliziotti nazistoidi, furbi barboni…) con l’incombente incubo degli organizzatissimi accalappiacani e del canile municipale. Hagen si rende conto che non tutti gli umani sono i migliori amici dei cani e di poter contare solo sulla solidarietà degli altri randagi…
Origine: Germania/Ungheria/Svezia
Anno: 2014
In sala dal 9 aprile 2015
Note: Al suo sesto lungometraggio Mundruczó crea con White God – giustamente vincitore a Cannes 2014 della sezione ‘Un certain regard’ – uno dei film più originali e significativi apparsi sugli schermi in questi ultimi anni. Sia perché protagonista è un cane, sia per i molti altri cani (250) che vi ‘recitano’ il film sembrerebbe essere un prodotto per l’infanzia: niente di più falso (non perché i più piccoli non possano vederlo e divertirsi) poiché intento del regista è sviluppare un complesso discorso sociale ed etico che riguarda tutti, di qualsiasi Paese e non solo gli Ungheresi. White God è un film politico nel senso più alto del termine poiché indaga (attraverso la metafora dei cani) sui rapporti tra sfruttati e sfruttatori la cui divaricazione l’attuale società globalizzata amplia a dismisura non rendendosi conto di seminare e far crescere una ‘rabbia sociale’ che può trasformarsi in pericolosi focolai di disordini e ribellioni. Le centinaia di cani che fuggiti dal canile corrono attraverso una Budapest livida e deserta con un allarmato cronista che segnala come “inizino a comportarsi come un esercito organizzato” sono la metafora della rivolta degli ultimi, privati di ogni diritto e sottoclasse vessata per l’appartenenza etnica, ma formata da esseri razionali e intelligenti sfruttati in tutti i modi possibili. Accanto a questa valenza universale Mundruczó rivolge un ammonimento a quei Paesi (compreso il suo) in cui un gruppo d’élite minoritario si riserva il potere e domina sul popolo che dimenticando i valori primari dell’etica e della libertà si accontenta di una democrazia appannata in cui elegge i propri rappresentanti non sulla base delle idee, ma sulla capacità di ‘bucare il video’ o di gestire il consenso attraverso i ‘social’. In White God confluiscono diversi filoni cinematografici: avventura, vendetta, eroismo… legati tra loro dal filo di una suspense crescente che dona scene memorabili come l’inseguimento tra accalappiacani e cani che dà più emozioni di interi film finalizzati a voler creare adrenalina negli spettatori. Nell’ottimo cast spiccano Zsófia Psotta (Lilli) e i due cani Luke e Body che interpretano Hagen le cui prestazioni da sole meritano la visione di questo film che comunque è da scoprire e meditare.
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LA RISPOSTA È NELLE STELLE
Genere: romantico
Regia: George Tillman Jr.
Cast: Scott Eastwood, Britt Robertson, Alan Alda, Oona Chaplin, Jack Huston
Sinossi: È il racconto della storia d’amore tra un ex campione di rodeo (Luke) che cerca disperatamente di tornare alle competizioni e una studentessa (Sophia) che sta per iniziare un lavoro nel mondo dell’arte realizzando così il suo sogno. Il lavoro di Sophia è a New York, città quanto mai stimolante per la cultura, ma non proprio centro di riferimento per i rodei. Interessi e prospettive sono quindi contrastanti e divergenti e il rapporto tra Sophia e Luke entra in crisi. Un giorno però il fato fa incontrare ai due giovani Ira…
Origine: Usa
Anno: 2014
In sala dal 9 aprile 2015
Note: La risposta è nelle stelle esplora ponendoli a confronto con garbo ed equilibrio due intrecci amorosi: quello più che decennale di Ira con l’adorata moglie e quello di Sophia e Luke. Sono due generazioni diverse cresciute con culture e mentalità differenti non solo per età, ma anche per una vorticosa trasformazione della società e per la perdita o l’appannamento di alcuni valori un tempo primari. La regia e la recitazione notevolmente professionali evitano il romanzo rosa facendo assumere al film una valenza etica sulla completezza offerta da una storia d’amore duratura in cui la coppia cresce e matura all’unisono affrontando insieme le molte sfide ora facili ora difficili offerte dalla vita, consolandosi reciprocamente negli insuccessi e gioendo insieme per i successi. E la migliore ricompensa di un amore è un dolce ricordo come quello di Ira.
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Genere: commedia
Regia: Pietro Reggiani
Cast: Francesca Golia, Pierpaolo Spollon, Rolando Ravello, Anita Kravos, Salvatore Esposito
Sinossi: Roberta e Massimo sono due giovani che sbarcano a Roma dalla provincia e hanno in comune – oltre a problemi di adattamento nella turbinosa e stressante capitale – la stessa, anche se rarissima malattia: l’invisibilità psicosomatica. Entrambi, infatti, scompaiono in conseguenza di determinate circostanze, diverse e opposte per i due giovani: Roberta sparisce se non si sente al centro dell’attenzione, mentre per il timidissimo Massimo il fenomeno si manifesta se qualcuno mostra interesse nei suoi confronti. Naturalmente i due sono vittime della pessima educazione impartita dai rispettivi genitori, troppo liberali quelli di Roberta e troppo oppressivi quelli di Massimo. Date le premesse incontrare un partner è molto difficile. Quando i due casualmente s’incontrano e sentono una reciproca attrazione, riusciranno a superare gli inconvenienti causati dalle rispettive malattie?
Origine: Italia
Anno: 2015
In sala dal 9 aprile 2015
Note: A dieci anni dal brillante esordio con L’estate di mio fratello, Pietro Reggiani per il suo secondo lungometraggio tenta un esperimento decisamente curioso realizzando una commedia surreale in cui la narrazione è spesso affidata a una voce fuori campo. Anche in questa sua seconda opera il regista conferma la predilezione per temi riguardanti il disagio psichico e le relative cure, ma stavolta non essendovi alcuna intenzione scientifica l’atmosfera è tendenzialmente allegra. Il film alterna, infatti, momenti molto divertenti ad altri con poco mordente e a volte ripetitivi. Nella parte iniziale, infatti, sono tratteggiati in modo scanzonato gli interni delle due famiglie: ne risulta una serie di ritratti che – se esistessero corsi per imparare a fare bene i genitori – sono altrettanti esempi di come assolutamente non comportarsi. Parlare di genitori inadeguati al ruolo è un gentile eufemismo. Purtroppo quando il film si concentra su Roberta e Massimo perde mordente e la narrazione nel gioco compaio/scompaio assume caratteri un po’ ripetitivi.
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Genere: commedia
Regia: Francesco Pavolini
Cast: Maurizio Battista, Claudia Pandolfi, Ninetto Davoli, Paola Tiziana Cruciani, Veronica Corsi, Emanuele Propizio, Rocco Barbaro, il mago Silvan
Sinossi: Maurizio (Maurizio Battista) sceglie tra i 31 ponti di Roma Ponte Milvio (forse quello più significativo per i Romani) per chiudere la partita con una vita che ritiene molto ingiusta nei suoi confronti. Sale quindi sul muretto, ma non riesce a buttarsi perché subito una folla di passanti gli si accalca intorno per dissuaderlo, per chiedere come mai o semplicemente per vedere come va a finire. Comincia così un lungo flashback in cui Maurizio racconta la sua disgraziata storia. Tutto è iniziato con la morte del padre (Nando, un misurato Ninetto Davoli) e l’eredità lasciatagli: solo che questa era preceduta da un consistente segno meno e Maurizio si è ritrovato improvvisamente indebitato fino al collo. In un’arcaica visione del pater familias, infatti, il padre aveva tenuto all’oscuro della reale situazione economica anche i due figli: Maurizio e la sorella Suellen (Claudia Pandolfi). La situazione è sull’orlo della bancarotta e Maurizio l’aggrava perché seguendo le orme paterne non ne informa né la moglie Luana (Paola Tiziana Cruciani) né il figlio Valerio (Emanuele Propizio) i quali organizzano una grande e dispendiosa festa per il matrimonio del giovane. L’unica soluzione a Maurizio sembra quindi quella di salire sul parapetto di Ponte Milvio e…
Origine: Italia
Anno: 2014
In sala dal 9 aprile 2015
Note: Maurizio Battista – comico di successo e raffinato – costruisce un film su misura per le sue qualità che oggettivamente non sono poche. Non si è affidato solo a sé, ma intelligentemente ha prima di tutto curato, e molto, la sceneggiatura che appare solida, ben equilibrata e mai volgare (ed è già un titolo di merito non di poco conto). Il resto lo fanno un cast di livello che lo asseconda ottimamente (a cominciare dalla Cruciani che offre uno splendido cammeo della moglie) e una fotografia che consegna allo spettatore una Roma vista attraverso il filtro dell’arte. Si ride e molto, ma sono risate intelligenti dovute a battute e situazioni sarcastiche o fortemente ironiche e mai triviali: evento abbastanza raro nel film comico italiano.
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VINCENT VAN GOGH – UN NUOVO MODO DI VEDERE
Genere: documentario
Regia: David Bickerstaff
Cast: Jamie de Courcey
Sinossi: L’attore Jamie de Courcey dà vita all’ampia corrispondenza di Vincent van Gogh e soprattutto a quella commovente e illuminante scritta all’amato fratello Théo, quasi filo d’Arianna per scoprire gli aspetti più segreti e pregnanti della vita e del pensiero di questo straordinario artista che in soli cinque anni ha creato un “nuovo modo di vedere”. Il film celebra in maniera eccezionale il 125° anniversario della morte di quest’uomo straordinario ed è un viaggio esclusivo e sorprendente attraverso le splendide e affascinanti sale del Van Gogh Museum di Amsterdam e nei suoi magazzini, solitamente preclusi ai visitatori e quindi occasione unica per vedere quanti capolavori non hanno trovato ancora un adeguato spazio espositivo. La vicenda umana e artistica di Vincent van Gogh è raccontata da un nucleo di esperti che difficilmente è possibile ascoltare al di fuori del film: Vincent Willem van Gogh (pronipote di Theo van Gogh), Dominique-Charles Janssens (Presidente dell’Istituto Van Gogh) e Axel Rüger (Direttore del Van Gogh Museum) oltre a curatori, storici dell’arte e artisti.
Origine: Paesi Bassi
Anno: 2015
In sala il 14 aprile 2015
Note: Oltre mille sale in tutto il mondo (dall’Europa agli Stati Uniti, dal Canada all’Australia, dall’Africa all’Asia e all’America Latina) hanno proiettato in contemporanea questo straordinario film che approfondisce (e non solo per il pubblico) la figura del grande e sfortunato artista olandese. Guardando le mostre a lui dedicate o visitando il bellissimo museo di Amsterdam ricco di sorprendenti scoperte (molti, infatti, dei dipinti più belli di van Gogh si possono godere solo in queste sale), è spontaneo domandarsi quanti altri capolavori l’artista avrebbe donato all’umanità se non si fosse suicidato a 37 anni. Si pensi che iniziò la sua produzione a 27 anni e che per i primi cinque anni si dedicò unicamente a disegni e acquerelli. Tra i pregi del film vi è anche la rilettura della sua immagine stratificata nel tempo: van Gogh emerge come un uomo dal pensiero profondo, desideroso – oltre che di capire cosa significa ‘fare arte’ – di interagire con la natura e con le persone comuni, quelle che ognuno incontra ogni giorno, e non un pazzo e un genio solitario. Un’altra leggenda smentita dal film è di aver venduto in vita solo un quadro, sebbene non dovesse essergli facile trovare acquirenti se una volta scrisse al fratello “Caro Theo, non posso farci niente se i miei quadri non si vendono. Ma verrà il giorno in cui si vedrà che valgono più del prezzo del colore e della vita, anche se molto misera, che ci sto rimettendo”. Vincent van Gogh – Un nuovo modo di vedere oltre ad arricchire la cultura dello spettatore facendogli gustare i quadri in modo sublime gli fa conoscere meglio un artista che ebbe il solo (ma grave) torto di anticipare troppo sensibilità, tempi e limiti mentali dei suoi contemporanei. Per cercare di rivivere sensazioni analoghe a quelle provate al cinema non resta che una visita al magnifico museo che Amsterdam gli ha dedicato: vedere le sue opere nella magica atmosfera di questa straordinaria città olandese che traspira cultura in ogni luogo è un’esperienza indimenticabile.