Scritto dedicandolo al grande regista greco prematuramente scomparso Theo Anghelopulos (come non pensare al film Lo sguardo di Ulisse…), diretto e questa volta anche interpretato da Corrado d’Elia, Ulisse, il ritorno veleggia dall’Odissea di Omero, che fornisce ossatura e personaggi, alla Grecia di oggi con la sua vena melanconica dietro l’apparente e ostentata allegria e il suo celebrare l’incontro, la convivialità e le feste attraverso un bicchiere (che, dopo essere quasi tracannato, è spesso gettato a terra con veemenza affinché in segno di allegria vada in mille pezzi) di uzo (bevanda alcolica a base di anice ed erbe aromatiche) o di crasí (vino). E dalla penisola ellenica il discorso si dilata alle grandi tematiche della vita.
Protagonista della pièce è, infatti, l’avventura esistenziale dell’uomo (in ogni tempo) che attraverso il ritorno a casa, alla dimora originaria e quindi in se stesso porta alla luce della coscienza ciò che è dentro di sé: in questa chiave l’eroe omerico diviene l’uomo contemporaneo che, interrompendo il suo frenetico correre, si volta alla ricerca della memoria propria e collettiva generando una realtà nuova in cui tutto si aggroviglia e si dipana.
Sul palcoscenico – spazio/taverna o meglio luogo/non luogo che si trasforma in pista da ballo, poi piazza, taxi, treno, autobus, teatro… – si affacciano e scompaiono personaggi di ieri divenuti dell’oggi come Ulisse e Penelope, ognuno con il proprio carico di sogni, speranze, sofferenze, dolori, soddisfazioni… in un affascinante, melanconico, nostalgico, struggente, angoscioso e insieme catartico rivivere intensamente tasselli di vita chiarificatori per chi li vive ed enigmatici per lo spettatore risucchiato emotivamente nel fluire di emozioni e sconcertato razionalmente anche perché stimolato a entrare nelle tante storie i cui fili si aggrovigliano tra di loro complice una musica suadente e invitante.
Uno spettacolo che attrae e turba ponendo interrogativi e lasciando aperta la porta a riflessioni sul viaggiare di ciascuno attraverso se stesso in questo tempo così diverso o così uguale a quello omerico: epico perché filtrato dalla memoria temporale, medico amorevole che cancella il negativo, o perché supportato da valori e ideali perduti? Ciascuno può e deve dare la sua risposta rispondendo così alla funzione di stimolo da sempre esercitata dal Teatro.
Una triade di attori che si fa apprezzare per la notevole professionalità, l’affiatata sintonia e la grande duttilità interpretativa: dalle qualità di d’Elia, ammirato anche come regista, a quelle di un convincentissimo Alessandro Castellucci e di una Giulia Bacchetta entusiasmante e dolente compagna, sposa, madre, maga… per un Ulisse dalle sfumature cinematografiche.