Opera in quattro atti di Giuseppe Verdi, su libretto di Antonio Ghislanzoni
Personaggi e interpreti:
Il Re: Giorgio Giuseppini
Amneris: Anita Rachvelishvili
Aida: Maria José Siri
Radamès: Carlo Ventre
Amonasro: Leonardo López Linares
Un messaggero: Francesco Pittari
Sacerdotessa: Stella Zhang
Primi ballerini: Alessia Gelmetti, Teresa Strisciulli, Evghenij Kurtsev, Antonio Russo
Direttore: Andrea Battistoni
Orchestra, coro e tecnici dell’Arena di Verona
Maestro del coro: Salvo Sgrò
Regia e scene: Franco Zeffirelli
Costumi: Anna Anni
Coreografia: Renato Zanella
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Aida è il dramma della solitudine. La terzultima opera di Verdi principia e termina in pianissimo, quasi invocazione di anime costrette a rivivere il loro amore impossibile; alterna onori militari a intime introspezioni psicologiche; svela, dietro alla triangolazione, vite costrette in un ordine sociale strutturato e infrangibile. Chiunque si opponga alle ragioni del potere per affermare la propria personalità soccombe davanti all’ineluttabile volere divino di Iside e Ptah.
Franco Zeffirelli rimane principe assoluto dell’uso drammaturgico delle sfumature: se nei primi atti, infatti, improntati su un luminoso trionfalismo corale, predominano cromie rosse e dorate, negli ultimi due tinte lunari dipingono il capitolare degli eventi. L’horror vacui e la monumentalità che regolano l’arte egiziana rivivono nell’incubo esoterico del regista toscano. Un’unica piramide rotante, al centro del palco, è nel contempo palazzo e tempio, dal cui interno si eleveranno le mistiche melopee e le imperiose sentenze dei sacerdoti sul traditore Radamès. Sant’Abbondanza vigila su una scenografia stracolma di comparse recanti le insegne regali, tra sfingi, simulacri antropozoomorfi e stendardi. In cotanto sfarzo, pacchiano ma consono a esprimere quel senso d’impotenza sopracitato, l’occhio fatica a individuare i protagonisti, complice l’abbacinante lucentezza dei pomposi costumi di Anna Anni. Parimenti, le maliose coreografie di Renato Zanella risentono della limitatezza spaziale, obbligando i ballerini ad adeguare i passi al suolo disponibile.
Da bocciare la direzione di Andrea Battistoni che non sembra intenzionato ad attenersi alla partitura. I tempi strascicati, la mancanza di mordente ove richiesto e un’eccessiva eleganza avvallano quella nuova timbrica creata da Verdi per un esotismo da lui mai affrontato prima e precorritrice del contemporaneo.
Superba Anita Rachvelishvili nell’ardua parte di Amneris. Il mezzosoprano georgiano possiede e domina perfettamente l’ampia estensione vocale prescritta da Verdi alla principessa: voce potente fin dall’entrata in scena, fraseggio sagace, intonazione impeccabile e saldezza dei fiati, coniugati con una sapiente presenza scenica, ritraggono ottimamente la dark lady egizia. Maria Josè Siri, nel ruolo eponimo, sta un gradino più in basso rispetto alla rivale, a causa di una minor precisione esecutiva, un fraseggio non sempre convincente e un volume mal calibrato. Carlo Ventre, insussistente Radamès, privo di accenti e colori rilevanti, stenta a svolgere la tessitura impervia prevista e lo si capisce fin dalla sua Celesti Aida (intonata con la -i e non con la –e finale come da libretto). Dimenticabile Amonasro quello di Leonardo López Linares, dal fraseggio scialbo e problematico. Elegante e seducente la sacerdotessa di Stella Zhang. Bene Giorgio Giuseppini (Il Re), Raymond Aceto (Ramfis) e Francesco Pittari (un messaggero).
Il coro, preparato da Salvo Sgrò, risente, per precise soluzioni scenografiche, di qualche dissesto tra le sezioni nei primi atti, ma in seguito recupera discretamente.
Grandi applausi per tutti, in primis per Siri, Rachvelishvili e Battistoni.