Milano Teatro alla Scala(recita del 4 giugno 2015)
Non ce ne sono tante di Carmen con un timbro così scuro e pieno
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Anita Rachvelishvili è la vera Carmen: capelli neri lunghi ricci, occhi neri, sguardo di fuoco, bocca rossa carnosa, fisico esuberante, movenze sensuali, scalza, atteggiamento sfrontato, personalità spiccata, temperamento volitivo, corpo vocale di notevole spessore, timbro sensualissimo, colore accattivante, suono rotondo, potenza nell’espansione acuta, leggerezza degli acuti; dolcezza negli attacchi morbidi e filati con messa di voce per “L’amour est un oiseau rebelle”; voce brunita e variegata nella canzone “Tra la la”, suoni carnosi per la Séguedille (“Près des remparts de Séville”) cantata con le mani legate a due lunghe corde calate dall’alto, voce morbida e vellutata in “Là bas dans la montagne”. Brava e credibile.
Francesco Meli s’impone nel ruolo di Don José con un bel getto di voce (“Parle moi de ma mère”), alterna la mezza voce con il canto spiegato, è trascinante nel canto appassionato (“Carmen, je suis comme un homme ivre”), attacca con morbidezza “La fleur que tu m’avais jetée”, ma poi la voce s’inasprisce un po’ e le mezze voci non sono fascinose, è meglio quando canta con passione e usa la messa di voce. Il suono tenuto in “Adieu pour jamais” e il suo squillo nel duello col torero del 3° atto, che la folla impedisce, sono raggi di sole nello squallore creato da Escamillo. Infine, quando inveisce contro Carmen, Meli porta la voce al massimo, per un’intensa e travolgente scena finale. Successo pieno, ma ruolo da non frequentare assiduamente.
Privo di carisma e di versatilità vocale, il baritono Massimo Cavalletti dovrebbe evitare il non facile ruolo di Escamillo; in piedi sul tavolo della taverna canta con scarsa sonorità, poca potenza e gravi poveri i noti couplets “Votre toast, je peux vous le rendre”, il timbro è buono e la zona centrale è morbida, ma la voce non supera l’orchestra, la voce e la tecnica di canto migliorano alla fine in “Toreador”.
Nino Machaidze in nero col velo è una Micaëla un po’ impacciata, canta chiuso ma sale con bei filati e tiene una bella linea melodica, è sempre intubata nella zona grave, ma il suono salendo si apre e diventa bello, anche se gridato, i bei filati risultano un po’ forzati, la voce si fa più melodiosa nell’ultima aria, ma l’acuto è gridato.
Frasquita è interpretata da Hanna Hipp, soprano acuto, scintillante che sa usare la mezza voce, Mercédès è Sofia Mchedlishvili, solista dell’Accademia di perfezionamento cantanti lirici della Scala, mezzosoprano morbido, dal timbro vellutato, voce estesa e buona tecnica di canto.
Alessandro Luongo (Moralès) ha voce baritonale un po’ aspra, Gabriele Sagona (Zuniga) è un basso con un certo vibrato. Le Dancaïre è Michal Partyka, le Remendado Fabrizio Paesano, une marchande d’orange Alessandra Fratelli, un bohémien Alberto M. Rota, Lillas Pastia Rémi Boissy, un guide (Prete) Carmine Maringola.
Magnificamente preparato il coro del Teatro alla Scala in entrambe le sezioni, possente e robusta quella maschile, ammirevole per la zona acuta limpida e sostenuta quella femminile, negli assiemi la pienezza e la potenza del suono e la morbidezza delle modulazioni creano un piacevole amalgama sonoro. Bravo sia vocalmente che scenicamente anche il Coro di Voci Bianche dell’Accademia scaligera. Maestro del Coro Bruno Casoni.
Meritevole la partecipazione degli Allievi della Scuola di ballo dell’Accademia diretta da Frédéric Olivieri, che stupiscono per la consistente muscolatura e la prodigiosa elasticità nelle spettacolari danze un po’ cosacche dei toreri a dorso nudo per la movimentata festa pre corrida, e degli attori della ‘Compagnia Sud Costa Occidentale’, diretta da Emma Dante, che si è occupata anche della regia.
La sua è una lettura cruda e realistica, con persone calate nella quotidianità (una sigaraia che sta per partorire in scena, persone che spolverano arazzi, altre che apparecchiano) non sempre piacevole e resa peggiore da una sua visione personale, non sempre accettabile, come quando denuncia troppo fortemente soprusi ed abusi delle forze dell’ordine (violenza e sangue sulle sigaraie maltrattate dai militari, fucili puntati contro le donne), e a volte poco comprensibili. Per esempio, perché tra i bambini cantori in divisa militare ci sono anche disabili portati in spalla da adulti, che una volta scaricati a terra diventano saltimbanchi seminudi? Perché le sigaraie sono vestite da suore e uscendo lentamente in fila dalla manifattura buttano il fiore in una vasca, poi si avvicinano agli uomini seduti ai lati, si spogliano, restano in sottoveste e s’immergono nella vasca? (Forse, velo o non velo, le donne sono tutte cittadine di Troia?). Chi sono le bambine con Carmen e perché è una di loro a gettare il fiore a Josè e non Carmen? Questa mossa non ha senso perché Josè poi dirà “La fleur que tu m’avais jetée” a Carmen, che in questo caso potrebbe rispondere “Je ne t’ai jeté rien!”.
Non mi sembra che in Carmen trapeli così fortemente il senso religioso, anche la morte è vista come un arcano mistero che si esorcizza con le carte, eppure elementi ecclesiali continuano ad essere presenti anche in modo incomprensibile, come il prete con i chierichetti, la grande croce nera alla quale si appende a vista in corpo morto del Cristo, le 5 figure bianche tipo fantasmi in lontananza sulla scala, figure che si animano con movenze coreografiche all’arrivo dei toreri per la corrida, il gigantesco turibolo con incenso fumante che dondola dall’alto all’inizio del 4° atto sopra una folla bianca sventolante fazzoletti rossi. Inoltre perché alla fine del 3° atto Micaëla è adagiata su un enorme letto bianco?
Visivamente lo spettacolo si presenta bene. Nella scenografia il tradizionale si mescola col moderno, così vediamo classiche taverne cui si accede tramite moderni ascensori, moduli architettonici semoventi con tecnologie moderne e tavola imbandita a terra come si faceva durante i lavori dei campi nel ‘900.
Inquietante la scala appena percettibile sulla parete nera della montagna, dove passano tutti e di tutto. Bellissimi i colorati e artistici gruppetti d’insieme, funzionale la scenografia, originale il boschetto con alberi umani.
Bella l’idea di mettere un abito double face a Micaëla, che arriva in nero e, sganciando qualcosa in alto, fa cadere la parte esterna e comparire l’interno bianco, tipo abito da sposa a cui i chierichetti aggiungono un gigantesco velo che assume vari significati.
Eccessivo figurare un cimitero animato nella scena delle carte, ma originale l’idea di far simulare le tombe a persone stese a terra con una croce bianca in mano.
Poi sempre per stare in tema di violenza in ogni senso, c’è un tentativo di stupro di Josè su Carmen, alla fine quando lei lo rifiuta, con successivo taglio della gola. Carmen rimane piegata su se stessa, mentre passa la processione con la Madonna. Mah!
Belli i costumi che rimangono nella norma.
Regia e costumi di Emma Dante, scene di Richard Peduzzi, luci di Dominique Bruguière, movimenti coreografici di Manuela Lo Sicco.
L’Orchestra del Teatro alla Scala, diretta da Massimo Zanetti, è morbida nell’accompagnare il canto corposo di Carmen e le danze sfrenate e folkloristiche nella taverna di Lillas Pastia, brillante all’ingresso del torero, deliziosa nella salita alla montagna, altisonante nel tutto orchestrale e delicata con le voci soliste dei fiati nell’affollata piazza di Siviglia vicino all’arena, sciolta nella festa della folla che accoglie Escamillo.