con Francesca Bianco
voce fuori campo di Stefano Molinari – musiche di Francesco Verdinelli – videografie Gulia Amato
regia di Carlo Emilio Lerici
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“Immaginate un tempo quando il più importante matematico e astronomo vivente era una donna.
Immaginate che abbia vissuto in una città così turbolenta e problematica come sono oggi Beirut o Baghdad.
Immaginate che questa donna abbia raggiunto la fama non solo nel suo campo, ma anche come filosofo e pensatore religioso, capace di attrarre un largo numero di seguaci.
Immaginatela come una vergine martire ma non per la sua Cristianità, ma da parte dei Cristiani perché non era una di loro.
E immaginate che il colpevole della sua morte sia stato accolto tra i santi più onorati e significativi della Cristianità.
Non avremmo dovuto sentirne parlare?
La sua vita non avrebbe dovuto essere nota a tutti?
Avrebbe dovuto essere così, ma così non è stato.”
Torna in scena per due sole recite “Il sogno di Ipazia”, lo spettacolo scritto da Massimo Vincenzi interpretato da Francesca Bianco e diretto da Carlo Emilio Lerici.
L’incredibile successo ottenuto nelle scorse stagioni e la curiosità che ha suscitato a tutti i livelli hanno fatto diventare lo spettacolo un piccolo “caso” nel panorama nazionale. Basti pensare, infatti, che dopo il debutto nella prestigiosa cornice del Castello Odescalchi di Bracciano in occasione di Opere Festival 2009, lo spettacolo è stato in scena per tre stagioni consecutive collezionando oltre 200 repliche in tutta Italia.
Su Facebook è attiva una pagina che ha già raccolto oltre 3000 iscritti.
Lo spettacolo ripercorre la storia di Ipazia, filosofa astronoma e matematica pagana vissuta ad Alessandria d’Egitto a cavallo tra 300 e 400, donna-simbolo per generazioni di donne, amatissima dal pensiero femminista non solo per essere stata una delle migliori eredi del platonismo, scienziata di argute invenzioni, ma soprattutto per aver incarnato libertà e autonomia di pensiero in forme –possiamo dire oggi- moderne. Ma proprio per questo fu perseguitata e uccisa dai cristiani e per questo è diventata una figura simbolo nella cultura umanista e libertaria di tutti i tempi, da Voltaire in poi, protagonista di studi, riflessioni, opere d’arte, film.
L’autore del testo, Massimo Vincenzi, giornalista del quotidiano La Repubblica, ha già scritto per il teatro lo spettacolo Bird è vivo, e i monologhi Gli occhi al cielo, La Regina senza corona, Alan Turing e la mela avvelenata, Ulisse e le sirene, Don Parker e Sancho Panza tutti diretti da Carlo Emilio Lerici, figlio del drammaturgo Roberto Lerici, che in questa occasione ha affidato la sua pluriennale esperienza al linguaggio forte ed espressivo del teatro narrato. In scena è la sola Francesca Bianco, da oltre trent’anni protagonista sulle scene italiane, la cui interpretazione di Ipazia ha suscitato un consenso e un plauso unanime. Fuori campo, ad interpretare il pensiero politico dell’autorità religiosa, è la voce di Stefano Molinari, apprezzato attore, conosciutissimo per le sue partecipazioni nelle principali fiction televisive. Le musiche, che costituiscono un parte fondamentale dello spettacolo, sono state create da Francesco Verdinelli, le videografie sono create da Giulia Amato.
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Teatro Belli
Piazza Sant’Apollonia, 11a – Roma
orari spettacoli: sabato ore 21.00 – domenica ore 17.30
prezzi: Interi € 18,00 – Ridotti € 13,00
prenotazioni 06.5894875 – info@teatrobelli.it – www.teatrobelli.it
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La trama
Lo spettacolo racconta l’ultimo giorno di Ipazia. Dal suo risveglio al mattino, seguito dall’uscita di casa per recarsi alla sua scuola, sino all’aggressione e alla morte.
La narrazione è intervallata dal ricordo di una delle imprese “disperate” tentate dalla protagonista: salvare la biblioteca di Alessandria.
Impresa che abbiamo preso come simbolo della sua intera vita.
A questo ricordo si alterna la voce sempre più veemente, e progressivamente più violenta, dell’autorità politica e religiosa. Partendo dal primo editto di Teodosio del 380 d.c. per arrivare ai veri e propri anatemi del vescovo Cirillo.
Per la parte relativa ad Ipazia la narrazione, pur fedele alla documentazione storica, è stata in gran parte liberamente reinventata. Per la parte relativa all’autorità politica i testi sono tratti dai quattro editti teodosiani. Per la parte relativa al vescovo Cirillo sono stati utilizzati frammenti dei suoi discorsi liberamente riadattati, tenendo come guida le testimonianze storiche che ci sono arrivate.
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La storia
Se ragione e fede costituiscono i due binari paralleli lungo i quali si è mossa la storia dell’Occidente negli ultimi duemila anni, l’episodio più emblematico della contrapposizione fra queste due ideologie accadde nel marzo del 415, con l’assassinio di Ipazia (Alessandria d’Egitto circa 370 – 415 d.c.) detta “la musa” o “la filosofa”.
Il contesto storico in cui l’avvenimento ebbe luogo è il periodo in cui il cristianesimo effettuò una mutazione genetica, cessando di essere perseguitato con l’editto di Costantino nel 313, diventando religione di stato con l’editto di Teodosio nel 380, e iniziando a sua volta a perseguitare nel 392, quando furono distrutti i templi greci e bruciati i libri “pagani”.
Gli avvenimenti ad Alessandria precipitarono a partire dal 412, quando divenne patriarca il fondamentalista Cirillo (proclamato Santo e Dottore della Chiesa nel 1882).
In soli tre anni, servendosi di un braccio armato costituito da monaci combattenti, sparse il terrore nella città.
Ma la sua vera vittima sacrificale fu Ipazia, il personaggio culturale più noto della città.
Figlia di Teone, rettore dell’università di Alessandria e famoso matematico egli stesso, Ipazia e suo padre sono passati alla storia scientifica per i loro commenti ai classici greci: si devono a loro le edizioni delle opere di Euclide, Archimede e Diofanto.
In un mondo che ancora oggi è quasi esclusivamente maschile, Ipazia viene ricordata come la prima matematica della storia: l’analogo di Saffo per la poesia, o Aspasia per la filosofia. Anzi, fu la sola matematica per più di un millennio: per trovarne altre bisognerà attendere il Settecento. Ma Ipazia fu anche l’inventrice dell’astrolabio, del planisfero e dell’idroscopio, oltre che la principale esponente alessandrina della scuola neoplatonica.
Le sue opere sono andate perdute.
Le uniche notizie su di lei ci vengono dalle lettere di Sinesio di Cirene: l’allievo prediletto.
Il razionalismo di Ipazia, che non si sposò mai a un uomo perché diceva di essere già «sposata alla verità», costituiva un controaltare troppo evidente al fanatismo di Cirillo.
Uno dei due doveva soccombere e non poteva che essere Ipazia.
Aggredita per strada, Ipazia fu scarnificata con conchiglie affilate, smembrata e bruciata. Il governatore Oreste denunciò il fatto a Roma, ma Cirillo dichiarò che Ipazia era sana e salva ad Atene. Dopo un’inchiesta, il caso venne archiviato «per mancanza di testimoni».
La figura di Ipazia, dopo secoli di colpevole silenzio, sta tornando prepotentemente alla ribalta in questi ultimi mesi. Trasmissioni radio, televisive, articoli sui principali quotidiani. Sono usciti inoltre numerosi libri di successo, soprattutto all’estero, e a Cannes è stato presentato il colossal spagnolo “Agorà” che abbiamo finalmente visto sugli schermi italiani, dopo tante polemiche, alla fine di aprile del 2010.