I motivi per correre al Teatro dell’Opera di Roma a vedere La Dama di picche di Cajkovskij (in scena fino al 30 giugno) ci sono davvero tutti. Innanzitutto un motivo temporale: a Roma l’inquietante Dama mancava da ben 59 anni trasformandosi in prativa per una prima assoluta per buona parte della platea tanto che tutto sommato poco ha inciso che al posto dell’annunciata regia di Peter Stein il pubblico romano abbia potuto vedere l’allestimento di Richard Jones ripreso dal giovane Benjamin Davis, una coproduzione internazionale del 2002 creata per il Comunale di Bologna.
Se il libretto di Modest Ciajkovskij ha spostato di un secolo in avanti l’azione della magnifica e cupa novella di Puskin da cui è tratta l’opera concentrando l’attenzione più sull’ossessione amorosa che non sull’ossessione del gioco, il valido allestimento moderno di Jones dimentica immediatamente i fasti (costosi) della San Pietroburgo imperiale e opera un ulteriore passo/salto in avanti (siamo intorno alla Belle Epoque) tradendo in un certo modo alcune frasi del libretto e lasciando saltare i riferimenti all’arrivo di Caterina (la Grande, proprio lei) e la Pompadour (che non possiamo in ogni caso immaginare in quanto favorita di Luigi XV partecipare alle stesse feste da ballo della pur anziana Contessa).
L’apertura dell’opera d’altra parte è particolarmente potente nel mostrare poi il ritratto di una donna (la Contessa?) quasi un volto di Boldini, che da giovane si trasforma in rugoso anticipando in sé tutta la storia nella tragica caducità del destino fino alla perdita di valori.
Il resto dell’allestimento, con i costumi (colori freddi, ma sofisticati) e le scene di John MacFarlane si mantiene alquanto lineare, ma non senza qualche inattesa sorpresa, dal letto in verticale all’apparizione spaventosa dello scheletro, dalle inquietanti marionette alla bisca-tavolo da gioco del tutto proteso verso il pubblico, muovendosi costantemente fra i sinuosi e oscuri colori nelle scene in bianco virginale, in nero o nei toni in verde un po’ decrepiti e scoloriti della casa della Contessa.
E la musica? Potente e assolutamente grandiosa: James Conlon, sul podio dell’Orchestra del Teatro, regala forza espressiva lasciando trapelare tutta la tragicità del destino fra tinte fosche e magnifici duetti (che dire nei duetti amorosi fra Liza ed Hermann?) in piena tempesta romantica. Grande successo personale anche per Conlon, molto apprezzato molto apprezzato dal pubblico in quello che in pratica è stato il suo debutto nella La dama di picche non essendo riuscito mai a dirigerlo prima in carriera.
Occhio al cast che diventa prioritario in un’opera di così ampio respiro come la Dama di picche, magnifico affresco di eros e thanatos alla russa: se il tenore Maksim Aksenov è eccellente nell’impervio ruolo di Hermann, spiccano anche Tomas Tomasson, un grande Conte Tomskij sia per voce sia per presenza e Vitalij Bilyy nel ruolo del Principe Eleckij.
Ottima la Contessa interpretata da Elena Zaremba, a momenti più elegante in rosa che inquietante, ma di sicura presenza regale e la sfortunata Liza di Oksana Dika.
Grandi applausi per un’opera grandiosa purtroppo poco conosciuta, ma davvero molto potente un grandioso affresco che forse solo la grande letteratura russa riesce a offrire.