La rappresentazione teatrale “Le memorie di Adriano”, tratto dal libro omonimo di Marguerite Yourcenar (25 milioni di copie vendute) è stato portato in scena 700 volte in 18 anni. Il più grande successo della storia del teatro italiano che vede come interprete il grande Giorgio Albertazzi che si è ripetuto ieri sera al Teatro Franco Parenti.
Straordinaria la sua prova di attore, Albertazzi si conferma grande affabulatore che sa giocare come pochi con la parola, la forza evocatrice della sua voce affascina al di là del valore semantico, trasforma (ad libitum) la parola in un’astrazione, un suono. Per non parlare dei silenzi, della gestualità (sempre misurata), dello sguardo intrigante e quel sorriso accennato che crea complicità. Ma, in quest’occasione, c’è qualcosa in più. Il grande attore esalta l’espressività dell’interpretazione grazie alla immedesimazione nel personaggio. L’attore per definizione entra nel personaggio, ma in questo caso Albertazzi, in una sorta di monologo interiore, si immerge, si sostanzia nell’imperatore Adriano, lo vive, lo soffre. Insomma Albertazzi è Adriano.
Il testo di Marguerite Yourcenar racconta gli ultimi giorni dell’imperatore attraverso una lettera indirizzata a Marc Aurelio. Il tono anche nei momenti dell’età giovanile è sempre giocato sulle corde dalla sofferenza e della malinconia. Il flusso dei ricordi passa attraverso i vari stadi della sua vita, dalla fierezza dell’età giovanile, alla maturità, alla conquista del potere, dall’umana tristezza dell’età che inesorabilmente corre e all’amore per il giovane Antinoo e lo struggente dolore per la sua morte.
Chi ingenerosamente considera Albertazzi un “vecchio maestro stanco” dimentica che la Youecenar racconta gli ultimi giorni dell’imperatore caratterizzati dalla tristezza e dalla malinconia e dalla naturale nostalgia di una vita trascorsa all’insegna dell’amore e della bellezza. Che cosa avrebbe dovuto fare Albertazzi/Adriano avviarsi verso la morte con giovanile baldanza? Ma dai… Sempre a questo proposito sentite quello che ha detto Dario Fo “quando un attore, anche capace, avrebbe alzato il tono, Albertazzi fa il contrario. Questo togliere è fondamentale”.
Adriano non ignora che Roma finirà un giorno per tramontare; e tuttavia il suo senso dell’umano, ereditato dai Greci, gli fa capire l’importanza di pensare e di servire sino alla fine. E nella capacità profetica delle sue parole ritroviamo le radici della nostra storia. In questa nostra età dell’ansia e dell’angoscia moltiplicata dai fondamentalismi, dall’intolleranza razziale e sociale, dalla corruzione diffusa, dall’egoismo, dalle guerre, dalla finanza internazionale che colpisce senza un’ostia di umanità. In questo nostro mondo le parole di Adriano (che riportiamo) accendono un barlume di speranza.
“La vita è atroce, lo sappiamo. Ma proprio perché mi aspetto tanto poco dalla condizione umana, i brevi momenti di felicità, i progressi parziali, gli sforzi di ripresa e di continuità mi sembrano altrettanti prodigi che vengono a compensare la massa intensa dei mali, degli insuccessi, dell’incuria e dell’errore. Sopravverranno le catastrofi e le rovine; trionferà il caos, ma di tanto in tanto verrà anche l’ordine.
La pace s’instaurerà di nuovo tra le guerre; le parole umanità, libertà, giustizia ritroveranno qua e là il senso che noi abbiamo tentato di infondervi. Non tutti i nostri libri periranno; si restaureranno le nostre statue infrante; altre cupole, altri frontoni sorgeranno dai nostri frontoni, dalle nostre cupole; vi saranno uomini che penseranno, agiranno e sentiranno come noi: oso contare su questi continuatori che seguiranno, a intervalli irregolari, lungo i secoli, su questa immortalità intermittente. Se i Barbari s’impadroniranno mai dell’impero del mondo, saranno costretti a adottare molti dei nostri metodi; e finiranno per rassomigliarci”.
Perfetta la regia di Maurizio Scaparro. Compagni di viaggio di Giorgio Albertazzi, Stefania Masala, Evelina Meghnagi (musica e canti), Armando Sciommeri (percussioni), Giovanna Capuccio.
Applausi, applausi, applausi.