Incontro Paolo Stratta, fondatore e direttore di Cirko Vertigo, almeno un anno dopo da quando abbiamo iniziato a parlarne. E non perché sia troppo impegnato, anche se lo è davvero, ma perché non c’è stata un’occasione reale per farlo. Infatti la prima volta che l’ho proposta, tramite Dario Duranti, responsabile ufficio Stampa della Scuola di Cirko Vertigo, aveva subito accettato con entusiasmo.
Ci troviamo nel suo ufficio, al Parco Le Serre di Grugliasco, sede della scuola e del tendone per le rappresentazioni 40 minuti prima dello spettacolo “Momento” con un clown belga. Siamo in pieno Luglio di un’estate fra le più calde da circa 200 anni a questa parte, e scoprire che negli uffici c’è aria condizionata è davvero piacevole. Non conosco direttamente Paolo, se non per cose lette (fra cui un vecchio libro sul teatro di strada) e perché conosco il suo festival fin dalle prime edizioni. Infatti inizio questa intervista dicendo che una delle cose che più mi hanno colpito in questi anni frequentando i suoi tendoni (ne ricordo almeno tre, di dimensioni sempre crescenti) anche in periodi invernali, è il rapporto che si è venuto a creare con il suo pubblico, composto soprattutto dalla popolazione di Grugliasco ma non solo, che hanno oramai la stessa passione dei tifosi di una squadra di calcio. Vanno sempre a vedere i loro beniamini senza badare contro chi giocheranno, in questo caso senza chiedersi chi è il gruppo nel cartellone, e portano la famiglia e gli amici con un passaparola che in questi anni ha davvero funzionato. Mi dice che tutto questo è frutto di duro lavoro, suo e della sua squadra, della formazione professionale ed amatoriale che ogni anno coinvolge almeno 600 allievi, a cui lavorano circa 40/50 persone fra insegnanti, tecnici e personale vario. E poi molte iniziative e spettacoli che portano nel loro circo più o meno 20.000 spettatori ogni anno.
A questo punto chiedo a Paolo Stratta di parlarmi di sé, di come è arrivato a fare ciò che fa, insomma della sua storia. Gli brillano gli occhi mentre mi parla di un diciottenne appassionato di teatro che inizia a frequentare i corsi di Anna Bolens, ed il gruppo Marcido Marcidoris famosissimi a Torino. Anzi mi racconta di avere trovato un suo vecchio tema di quando tredicenne scriveva del suo interesse per il teatro. Si iscrive al Dams di Bologna e si laurea con il prof. Marco de Marinis con la tesi “Il Teatro di strada in Italia, una piccola tribù corsara: dalle piazze alle piste del circo”. Fa esperienze teatrali in Germania e ricorda come il 1° Maggio del 1991 fa il suo primo spettacolo, e da lì capisce che il suo futuro sarà di lavorare quando gli altri si riposano, esattamente come ha fatto alla festa del lavoro. A Racconigi fa il suo primo intervento retribuito: il fachiro mangiafuoco. Ha alcuni nomi importanti a cui dire grazie, fra tutti Eugenio Guglieminetti, che si appassiona a ciò che fa e gli propone interventi e performance. Fra l’altro mi mostra con orgoglio un ritratto, che custodisce gelosamente in ufficio, di Guglieminetti appunto, che ritrae due giovani teatranti di strada ed uno di loro è sicuramente Paolo, in livrea da clown bianco. Alla fine degli anni ’90 fa molto teatro, riunisce un gruppo di musicisti e con loro fa interventi in strada e in luoghi chiusi. Partecipa anche a programmi televisivi e con piccole parti a film. Insieme a Guglieminetti produce per Asti Teatro e il Festival delle Colline un Pino(K)io.
Inizia a lavorare con le scuole e parte l’esperimento di una vera e propria realtà indirizzata all’insegnamento delle tecniche circensi. La prima sede era la Società Ginnastica di Torino, luogo importante con una grande storia nella città ma inizia subito a capire che non ci può essere coabitazione con una realtà impegnata nella competizione. Ed allora si incaponisce: si voleva occupare solo della formazione e già lo stesso anno avviene il distacco. In questo periodo gli è stata utile l’amicizia di Alessandra Galante Garrone, nome storico del Teatro di Bologna, che lo esorta a tenere duro. Nasce la realtà di Grugliasco.
“Sono nato nel 1972 – mi racconta Stratta – ho 43 anni e sono già passati 24 anni dal mio primo spettacolo. A me non è mai piaciuto il circo, io non volevo scappare con il circo. Le rare volte che i miei genitori mi ci hanno portato mi sono sempre annoiato e l’ho sempre trovato di cattivo gusto. Fare ciò che ho fatto è stato per me un passaggio obbligato, le opinioni e ciò che si diceva sul teatro di strada mi hanno costretto a scelte “artaudiane” quasi crudeli. La finzione teatrale, la recitazione tout court è un aspetto che salta quando il tuo corpo rischia davvero, quando sei onesto con il pubblico e fai questo lavoro correttamente. Devi essere possibile e credibile come diceva la Mnouchkine. Non voglio rinnegare un passato popolare e non popolaresco ma l’arte non esiste senza opere di riferimento, e questo vale per tutte le epoche e per qualsiasi forma espressiva. Ecco perché abbiamo affidato alla regista e coreografa Caterina Mochi Sismondi il nostro repertorio di riferimento, a partire da VertigoSuite, opera contemporanea iscritta alla Siae”.
Mentre inizio ad entusiasmarmi perché condivido molto di ciò che sta emergendo siamo interrotti da uno spettatore che cerca la biglietteria. Scopriamo che si è fatto tardi e l’intervista è finita. Mentre mi allontano per andare ad assistere allo spettacolo mi ritrovo una allegria interiore quasi euforica, tipica di quando penso di avere capito qualcosa di importante.