Nel panorama nazionale della danza contemporanea si è affacciato un giovane e creativo coreografo, Nicolò Abbattista, il quale ha presentato il suo ultimo spettacolo al “V Festival delle Palme” organizzato da EuroArt.
Un viaggio carnale nell’essenza del cibo non solo materiale ma soprattutto spirituale, il quale ha un suo inizio nella successione di movimenti del corpo tramite la raffigurazione della danza primordiale e a tratti arcaica.
Una storia matriarcale in cui la donna assume una posizione prevalente rispetto all’uomo immersa in una sorta di rito familiare in cui le “femmine” si ritrovano a rievocare ma anche a rinfacciare gli eventi legati alla loro storia personale: un mondo in cui la vita e la morte si mescolano in un’allegoria, un combattimento sempre sul confine della linea, come fossero antiche marionette, dove la parola e i fili del burattinaio si sostituiscono al “movimento” e a un tratto tutto si confonde: morti e vivi, passato e presente.
Oltre all’uso sapiente della ricerca gestuale tra sacro e profano, Nicolò Abbattista immette la leggerezza e la freschezza eterea della tradizione e del rito per dar “voce” alla parte più intima in cui essa rimane simbolo ed espressione della coscienza materna.
Nei personaggi raffigurati i loro “corpi” emergono verità taciute e storie ormai dimenticate, costituendo minuscoli tasselli di un multiforme e affascinante mosaico. Il tutto è narrato con ironia e sensualità dai passionali danzatori (Samuele Arisci, Susanna Pieri, Mirta Boschetti, Christian Consalvo, Giorgia Varano, Eleonora Mongitore, Carmen Perfetto) che unitamente trasmettono un dolore vivo, rigoglioso e bruciante, di un qualcuno perso ma pur sempre riconducibile alla vita di relazione del nostro “sapere”. Il tutto avviene tra risate, urla, giochi, sberleffi, scherzi, soprusi, sogni, rimorsi, scuse, abbracci in una sorta di ricordo collettivo onirico per infondere agli animi turbati una sorta di pacificazione e purificazione.
POPoff riesce a costruire e a infondere al pubblico la trasmissione del sapere e del patrimonio affettivo, psicologico e simbolico, fornendo continuità al succedersi delle generazioni, un’onda d’urto emozionale dove essa appare come il tramite per placare e riassorbire tutti i differenti e molteplici aspetti processuali dell’identità umana, la quale inesorabilmente si lega al concetto di condizione determinante della “nutrizione”.
Le donne incarnano la psicologia del nero dove l’assenza del colore risplende di buio e mistero simboleggiando autorità, potere e rispetto, tra la vita e la morte al fine di celebrare un amore eterno, più resistente e intenso di ogni separazione. Un amore che riesce ad urlare, in una melodiosa sonorità dialettale, per mezzo delle incantevoli musiche di Faraualla, tutto un universo interiore di rara bellezza.
Grazie a Nicolò e alla compagnia Lost Movement, che nonostante i tagli e le crescenti difficoltà nel proporre nuove sperimentazioni contemporanee nel contesto culturale, riescono mediante una squadra di persone tenaci e motivate, a credere nella “sapienza della danza” come messaggio universale. Un bellissimo progetto che supera la logica di campanili e diventa il pretesto per un lavoro d’insieme al fine di riscoprire e far conoscere le antiche tradizioni del Sud, la religiosità, il convivio, la preghiera, gli ex voto che in un tutt’uno si trasformano nell’energia vitale, nelle mille ricche sfumature e declinazioni sulla fisicità dell’alimentazione.
Un’elegia costituita da un innesto vorticoso di immagini e suggestioni, dove un grido di dolore contro la violenza, la sopraffazione si trasforma in un inno alla libertà del vivere con i suoi entusiasmi e le sue scelte d’amore grazie alla “pizzica”, un antico rituale che fa parte della famiglia delle danze di tradizione comunemente conosciute come tarantelle.
Una forza dirompente con cui “Lost Movement Company” ha riscoperto alcune tracce del tarantismo che si rifanno all’antichità classica e alla mitologia greca durante studiati e attenti passaggi coreografici di “epica bellezza”.
La pizzica, magistralmente portata in scena in un pirotecnico, trascinante e festoso finale, ha costituito il principale accompagnamento delle caratteristiche ritmiche e melodiche dell’allestimento con lo scopo di esorcizzare il male con il bene come antitesi tra luce e buio.
Nell’ovazione del finale in cui una nuova forma di “pizzica infarinata” si è trasformata in un’occasione di divertimento e scherzo ma anche di sovvertimento dei codici tipici della danza nella equivalente cerimonia della liturgia in cui il gruppo di danzatori procede in fila, a passo misurato, accompagnando un ipotetico simbolo religioso: la reliquia dell’alimento (rappresentata dal grano) nel mistero sacro del corteo.
Una pizzica che vive di competizione dove la tensione e la rivalità diventano un momento di sfida e confronto tra prestanza fisica e agilità dei giovani ballerini – Samuele e Christian – che hanno espresso la propria virilità e forza con salti marcati e movimenti repentini, spalle e gomiti tesi e aperti in un ipotetico abbraccio femmineo. Mentre le danzatrici, Susanna, Mirta, Giorgia, Eleonora e Carmen hanno dinamizzato il ballo. Mimica facciale, guizzi, piccole fughe e ripartenze per stuzzicare il “maschio” a “stanare la preda” con suadenza in un vorticoso ammiccamento per grazia ricevuta.
Un comportamento collettivo spontaneo, fondato sulla comune partecipazione a realtà, costumi, atteggiamenti, credenze caratterizzate da un’austera atmosfera di tradizione e solennità.
Le coreografie elaborate dal maestro Abbattista, hanno avuto il pregio e l’onore della ricerca e dell’originalità di uno stile proprio.
Pura energia colma di passione, dal taglio e dal ritmo veloce, asciutto eppure corposo che hanno saputo “parlare” e trasmettere una narrazione passionale e appassionata di raffinata ed estrema coralità.