Melodramma in tre atti
Musica di Giacomo Puccini
Libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa, dall’omonimo dramma di Victorien Sardou
Personaggi e interpreti (primo cast):
Tosca: Hui He
Cavaradossi: Marco Berti
Scarpia: Rodrigo Esteves
Angelotti: Deyan Vatchkov
Sagrestano: Federico Longhi
Spoletta: Paolo Antognetti
Sciarrone: Nicolò Ceriani
Un carceriere: Romano Dal Zovo
Un pastorello: Federico Fiorio
Direttore: Riccardo Frizza
Orchestra, coro e tecnici dell’Arena di Verona
Maestro del coro: Salvo Sgrò
Coro di voci bianche A.d’A.MUS, diretto da Marco Tonini
Regia, scene, costumi e luci: Hugo de Ana
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Per Tosca, terzo titolo del Festival Arena di Verona, viene ripreso il collaudato allestimento del 2006 firmato interamente da Hugo de Ana. L’impatto visivo è notevole. Cannoni, “cantanti” a salve durante il Te Deum, rammentano il conflitto tra Napoleone e il Borbone, mentre al centro si erge altero il mezzobusto dell’arcangelo Michele, nei pugni spada e rosario simboli della Chiesa asservita al potere di Ferdinando IV. Mancando sostanziali cambi scenici, l’attenzione ricade giocoforza sui protagonisti di cui il regista esalta la sottomissione a quella libidine imperatrix mundi, già peraltro trasudante dal libretto e dalla musica, che condurrà la protagonista all’Empireo. D’altronde, certa arte cristiana sembra stimolare languori concupiscenti – ovunque dagli altari ammiccano Sebastiano, sante estatiche, Cristi dalle membra possenti – e nemmeno la Maddalena che Cavaradossi sta ultimando può sottrarsi a tale funzione perché la redenta prostituta deve avere, Tosca vult, gli occhi neri come i suoi. De Ana quindi sublima questo recondito desiderio di santificazione femminile – erotica o mistica pare relativo – nel martirio finale, ove l’eroina, croce in mano, non cade nel vuoto, ma ascende al cielo col terrifico grido di vendetta «O Scarpia, avanti a Dio!».
Hui He intasca un pieno successo. La sua Tosca si distingue per il fraseggio creativo, i bei colori e i giusti accenti, raggiungendo un equilibrio perfetto tra canto e teatro nel toccante Vissi d’arte, al termine del quale il pubblico si è sciolto in un lungo applauso anelando a un bis non concesso. Rodrigo Esteves convince nei panni del crudele barone Scarpia, complessivamente verosimile nonostante qualche inciampo nell’unisono del Te Deum. Negativo il giudizio su Marco Berti. Cavaradossi è parte necessitante di superba prestanza fisica e vocale, doti qui non sfoggiate dal tenore. L’esecuzione è scostante, i cali d’intonazione sono plurimi, latitano le cromie sensuali e l’acuto è sovente periclitante – la voce quasi si spezza in Vittoria! Vittoria! Buono l’Angelotti di Dayan Vatchkov, come eccellente è il sagrestano di Federico Longhi. Spigliato Paolo Antognetti, Spoletta privo di quell’untuosità prediletta da altri registi, e corretto Nicolò Ceriani nelle vesti di Sciarrone. Completano il cast Romano Dal Zovo, un carceriere, e Federico Fiorio, pastorello dall’insolito registro contraltile.
La direzione di Riccardo Frizza è prettamente cupa, volta a un pessimismo umano lancinante. Aleggia sull’orchestra una costante drammaticità, volta a risaltare appieno il sinfonismo, indiscusso protagonista di Tosca. Ben eseguito il mattutino, giocato su realistiche stereofonie simulanti lo scampanio speranzoso delle parrocchie sorelle su cui si afferma perentorio quello di San Pietro.
Se attento e calibrato risulta il rapporto tra direttore e cantanti, meno preciso è quello col coro che, se discretamente risolve il Te Deum, arriva a coprire non solo i solisti sul palcoscenico, ma la stessa Tosca fuori scena durante la cantata Sale, ascende l’uman cantico. Migliore la prestazione dei cantori del Coro di voci bianche A.d’A.MUS, diretto da Marco Tonini, senza sbavature di sorta.
Applausi calorosi per tutti.