Veterano della Turandot (che ha diretto per ben sei volte), Denis Krief porta alle Terme di Caracalla di Roma la popolarissima opera di Puccini in un nuovo allestimento tanto concettuale quanto poco iconografico.
Krief (sua la Rusalka che ha inaugurato con successo la stagione 2014-2015 in Teatro) sceglie come di consueto il finale di Puccini con la morte di Liù (proposto anche nel 2013 nell’ultimo allestimento al Costanzi del Teatro romano) che si conclude nel terzo atto con Tu che di gel sei cinta partendo da un solo e unico presupposto: è inconcepibile pensare che Puccini non sapesse come concludere l’opera e che non sapesse scrivere il duetto d’amore fra Calaf e Turandot. Appurato questo, il regista lavora soprattutto sul principio del less is more: regista, scenografo e costumista il regista va quasi a depauperare la ricchezza iconografica della Turandot per creare una Cina poco fiabesca che riflette invece le sue impressioni da viaggiatore collocando la storia ipoteticamente negli Anni Trenta come suggerito dai raffinati abiti nelle più svariante nuance di rosa delle donne tentatrici, ammalianti femme fatale.
“Proust dice che il libro appartiene a chi lo legge. Questa è l’etica e la politica del mio teatro: non amo l’idea di imporre al pubblico una rigida convenzione. Preferisco lasciarlo libero di viaggiare nell’opera a suo piacimento” spiega Krief che lascia piena e totale libertà di interpretazione al pubblico trasformando l’opera in un sogno dagli spiccati risvolti psicoanalitici.
La principessa Turandot viene vista come una donna che rifiuta di crescere anche sentimentalmente e che si rifugia impunemente nel suo mondo superiore: il suo totale rifiuto degli uomini, esemplificato anche dalle bambole che culla e con cui gioca in scena e che la dividono di fatto da Calaf. Al tempo stesso Calaf è un personaggio quasi borderline, perennemente in bilico fra ideale e reale, seppur irretito dalla presenza di Turandot. Che poi la principessa non esista e che sia solo una sua proiezione come lasciano intendere chiaramente anche Ping Pong e Pang, di certo Turandot rappresenta la dannazione di Calaf e di Liù che si sacrifica per lui sulle note di un finale-non finale assolutamente sublime, nel senso più romantico del termine come ha voluto mostrare il regista.
Krief ha poco sfruttato la forza imponente delle Terme: sulla scena sovrasta incessantemente una grande muraglia cinese in legno e bamoo con pannelli movibili che si aprono e si chiudono ad hoc e dove il coro viene sovente collocato in alto (creando un’altra inversione di carattere estetico) rispetto a Turandot, creatura divina che calca continuamente il palco al pari degli altri, custodita e rivelata da una sorta di paravento rosso girevole in bamboo.
E se appare sfolgorante il suo prezioso abito in seta azzurra e rossa in contrasto con minimalismo del coro con colori poco cangianti e accesi, di fatto anche il costume di Turandot appare in un certo qual modo semplice, proprio come gli abiti di Ping Pong e Pang, i tre ministri che richiamano non solo la commedia dell’arte, ma il miraggio di un sogno lontano.
Certamente la bellezza di questa Turandot in scena alle Terme di Caracalla fino ad agosto risiede nella semplicità visiva, nella libertà di interpretazione, ma anche nella forza della parte musicale e vocale.
La direzione del giovane Juraj Valčuha, direttore dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, ben noto al pubblico di Santa Cecilia e al debutto con l’Orchestra dell’Opera di Roma, è stata molto convincente: sofisticata e attenta all’orchestrazione, delicata (nell’umanità di Liù) ma tesa (negli enigmi) a lasciar risaltare la straordinaria modernità della partitura fra musica francese e d’avanguardia.
Sfumature musicali ottimamente sorrette da un cast di intensi interpreti dalla superba Turandot del soprano svedese Iréne Theorin, grande interprete wagneriana (che si alterna con Maria Billeri) cui fa eco la struggente e commovente Liù, vera eroina pucciniana che scioglie il gelo della principessa, interpretata da María Katzarava (che si alterna con Rocío Ignacio).
Sicuro di sé e non solo vocalmente sul palco, il Calaf del prestante Jorge De Leon (che si alterna con Antonello Palombi) e strappa gli applausi per Nessun dorma. In perfetta simbiosi i tre ministri Igor Gnidii (Ping), Massimiliano Chiarolla (Pong), Gianluca Floris (Pang), grandioso il Coro di Roberto Gabbiani sulla muraglia cinese in legno e bamboo e i piccoli allievi della Scuola di Canto Corale del Teatro dell’Opera di Roma diretta da José Maria Sciutto.
Completano il cast Marco Spotti (Timur), Gianfranco Montresor (Mandarino) e Max René Cosotti (Altoum).
La Turandot resta in scena fino a sabato 8 agosto alternandosi con la bellissima Butterfly della Fura dels Bauls e la Bohème di Livermore.