Giuseppe Manfridi, drammaturgo dalla scrittura colta e raffinata, cultore della parola sapientemente calibrata tra retaggi classici e influenze contemporanee, è tifoso giallorosso nelle viscere, nella testa e nel cuore.
Sull’epopea calcistica della Roma ha ideato il progetto Diecipartite che fa rivivere gli incontri storici e particolarmente significativi della squadra col corollario del contesto personale e sociale di quegli anni. L’autore ne ha, finora, realizzate cinque, più volte portate in scena personalmente o con l’apporto di Paolo Triestino, anch’egli di acclarata fede giallorossa.
La teatralizzazione delle partite Real Madri-Roma esplicita il tema della grandezza. Non la grandezza cosmica, incomprensibile pure per Thomas Mann che nel Doktor Faustus afferma “non mi sconvolge sapere quanti fantastilioni di anni luce separano un pianeta da un altro, né l’invalutabile quantità di massa che compone il sole. Quelle cifre lunghe come scie di cometa le trovo incapaci di darmi la benché minima emozione”, come scrive Manfridi nel prologo. L’autore insegue, invece, la grandezza misurabile, quella di fronte alla quale ci si sente adeguati ad ammirarla: la Cappella Sistina, il Colosseo, la Tour Eiffel, i Fratelli Karamazov…
Come la grandezza del Real Madrid, squadra blasonata e nominata dalla Fifa miglior club del XX secolo, con la quale il tifoso romanista si confronta osando sperare e sognare, mentre alimenta il suo fanatismo.
Real Madrid-Roma del 5 marzo 2008 vinta al Santiago Bernabeu di Madrid per 1 a 2, assicura alla squadra capitolina il passaggio ai quarti di finale della Champions League, epilogo di una serie di sfide iniziate l’11 settembre 2001. Una data che segnerà la storia, nella quale il mondo si confronterà con la grandezza del male e della tragedia.
Per Manfridi, prima ancora che l’attentato alle Torri si compia davanti agli occhi del mondo, è la data fatidica in cui è fissata una partita alla quale non potrà assistere, trovandosi al Cairo come giurato.
Inizia una girandola di tentativi di sottrarsi al party per sintonizzarsi dal televisore dell’albergo su un canale arabo che trasmette la partita, facendo zapping tra le immagini delle torri in fiamme, che nella concitazione scambia per un film catastrofico. Abissale la tragedia, percepita poi anche attraverso le emozioni di alcuni giovani americani incontrati in ascensore, maestoso il Santiago Bernabeu di Madrid, un tempio più che uno stadio, grande il cuore del tifoso che assorbe la sconfitta.
Fino al riscatto del 5 marzo 2008, quando in quello stesso stadio la Roma agguanta i quarti di finale della Champions eliminando la compagine dal prestigioso palmarès.
Tra le due date altre volte le squadre si fronteggiano mentre il mondo cambia, travolgendo speranze, sogni, illusioni.
Paolo Triestino, sua anche la regia, è un torrente in piena, incoercibile nell’enfasi d’attore e straripante nella passione calcistica, come è incontenibile Manfridi quando porta in scena le sue “creature”. Epico e passionale, diventa emozionante nel finale davanti alla lavagna trasparente su cui annota concitatamente i minuti in cui si verificano i passaggi cruciali dell’ultima partita, descritta con la foga di una radiocronaca al cardiopalma.
Unico altro elemento della scarna scenografia di Francesco Montanaro lo schermo sul fondo su cui vengono proiettati gli pseudocollegamenti dell’inviato Ariele Vincenti dal Bernabeu e dalla Plaza Mayor di Madrid.