Opera comica in due atti di GAETANO DONIZETTI su libretto di Felice Romani (Edizione critica a cura di A. Zedda; Casa Ricordi, Milano)
Prima rappresentazione: Milano, Teatro della Cannobiana, 12 maggio 1832
Produzione Teatro alla Scala
Direttore FABIO LUISI
PIETRO MIANITI (10 e 17 ottobre)
Rivisitazione scenica e regia GRISCHA ASAGAROFF
Scene e costumi TULLIO PERICOLI
Luci HANS RUDOLF KUNZ
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Personaggi e interpreti principali
Adina Eleonora Buratto
Nemorino Vittorio Grigolo (settembre) / Atalla Ayan (ottobre)
Belcore Mattia Olivieri
Dulcamara Michele Pertusi
Giannetta Bianca Tognocchi
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CORO E ORCHESTRA DEL TEATRO ALLA SCALA
Maestro del Coro BRUNO CASONI
COMUNICATO STAMPA
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Date:
Lunedì 21 settembre 2015 ore 20 ~ turno A
Mercoledì 23 settembre 2015 ore 20 ~ turno B
Lunedì 28 settembre 2015 ore 20 ~ turno C
Sabato 3 ottobre 2015 ore 20 ~ fuori abbonamento
Lunedì 5 ottobre 2015 ore 20 ~ turno E
Sabato 10 ottobre 2015 ore 20 ~ turno N
Giovedì 15 ottobre 2015 ore 20 ~ turno D
Sabato 17 ottobre 2015 ore 20 ~ turno G La Scala UNDER30
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Prezzi: da 210 a 13 euro
Infotel 02 72 00 37 44
www.teatroallascala.org
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L’OPERA IN BREVE
di Claudio Toscani
dal programma di sala del Teatro alla Scala
Fu nei primi mesi del 1832 che l’impresario Alessandro Lanari, avendo ottenuto in appalto il Teatro della Canobbiana di Milano, chiese a Donizetti di comporre un’opera comica per la stagione in corso. E fu ancora Lanari a suggerire, dati i tempi stretti, di ricavare il soggetto da un libretto francese già pronto, scritto da Eugène Scribe per un opéra-comique di Daniel Auber: si trattava di Le philtre, che era stato da poco rappresentato a Parigi con successo, e che sarebbe rimasto poi in repertorio nella capitale francese fino al 1862. Il librettista Felice Romani, ingaggiato per l’occasione, fece opera di traduzione quasi letterale; malgrado ciò, seppe approntare un libretto di ottima fattura, oltrepassando di molto, nel risultato, l’originale. Donizetti compose l’opera velocemente, secondo le sue abitudini: la sera del 12 maggio 1832 L’elisir d’amore approdò alle scene della Canobbiana, con esito eccellente.
Il successo dell’opera stupì lo stesso compositore, che proprio in quegli anni seguiva altre vie. Il pirata di Bellini alla Scala nel 1827 aveva lanciato la voga dei soggetti tragici e delle passioni esasperate, dando voce all’incipiente gusto romantico che a quell’epoca, nell’Italia del Nord, si diffondeva anche tra il pubblico del teatro d’opera. Donizetti, al quale i nuovi soggetti “romantici” erano particolarmente congeniali, aveva suscitato l’entusiasmo del pubblico milanese con Anna Bolena nel 1830, e nel decennio successivo si sarebbe dedicato soprattutto all’opera seria a vocazione tragica. Il mutamento generale nel gusto e nello stile del linguaggio melodrammatico metteva in crisi il genere comico, sin quasi a causare la scomparsa di una tradizione gloriosa, che attraverso Piccinni, Paisiello, Cimarosa aveva toccato l’apice, in tempi recenti, con Rossini. Il passaggio ai drammi tragici e a fosche tinte, nei quali irrompeva con forza l’elemento passionale, richiedeva la massima coerenza nello sviluppo psicologico dei personaggi: tutto ciò era incompatibile con la sostanziale indifferenza emotiva del tradizionale teatro comico. L’opera buffa, con la stereotipia dei suoi caratteri e delle sue situazioni, parve di colpo obsoleta e antirealistica, e per questo condannata all’oblio.
Ma fu proprio L’elisir d’amore a raccogliere la sfida lanciata dall’opera seria, mostrando all’opera buffa la via del rinnovamento e sottraendola alle secche dell’inverosimiglianza. Già Romani nella preparazione del libretto aveva puntato, più che sull’arguzia e sulla civetteria della fonte francese, su personaggi umani, dotati di uno spessore sentimentale autentico. L’implorazione di Nemorino “Adina, credimi” nel finale primo, la sua romanza “Una furtiva lacrima”, l’aria di Adina “Prendi, per me sei libero” (tutte assenti nel libretto di Scribe) corrispondono a un pathos reale, non a una raffigurazione stilizzata delle emozioni. Donizetti, in questi luoghi, bilancia l’elemento comico con un sentimento di malinconia penetrante. E la risoluzione del conflitto non è affidata, come nella tradizione comica, all’inganno o a una combinazione fortuita di eventi: bensì a un fattore ben più “umano”, cioè al riconoscimento, da parte di Adina, del valore, dell’onestà e della costanza di Nemorino. Ai meccanismi tradizionali (ai quali anche Donizetti, sino a quel momento, si era attenuto: le sue opere buffe precedenti seguono il modello rossiniano) L’elisir d’amore sostituisce, grazie all’immissione dell’elemento sentimentale e all’umanizzazione dei personaggi, una personale rielaborazione dello stile comico.
Un’impostazione del genere richiede caratteri perfettamente coerenti, e tipologie melodiche che ne evidenzino i tratti personali. Se Belcore, il soldato sbruffone che si esprime sempre per metafore militaresche, e Dulcamara, il ciarlatano dalla faccia tosta che abbindola gli ingenui campagnoli, sono personaggi tradizionali del teatro comico, Adina e Nemorino mostrano tratti di ben altra modernità. Adina evolve dall’indifferenza per Nemorino al dispetto nel vederlo corteggiato, cambia d’animo quando ne accerta la nobiltà di cuore e la sincerità d’affetto, approda all’amore spontaneo: è dunque personaggio complesso, lontano dalle maschere inamovibili della commedia dell’arte.
L’evoluzione dalla ragazza volubile e capricciosa alla donna innamorata trova perfetta corrispondenza nel passaggio dalle fioriture di “Chiedi all’aura lusinghiera” alla cantabilità malinconica di “Prendi, per me sei libero”. Ma anche Nemorino evolve: l’“idiota”, qual si definisce all’esordio, si lascia alle spalle la stupidità e prende coscienza di sé in virtù del suo sentimento. I segni del rinnovamento promosso dal melodramma romantico, qui, sono particolarmente evidenti: il canto spianato del tenore nel registro centrale sostituisce il canto d’agilità e le formule ornamentali rossiniane. Assenti, del pari, i sospiri tenorili stilizzati, alla maniera del Conte d’Almaviva, le cui parentesi lirico-effusive vengono a inserirsi in un gioco compiaciuto: Nemorino esprime una tenerezza autentica, una vena sentimentale schietta.
Gli accenti elegiaci, la forte carica emotiva erano atipici nella storia dell’opera buffa. L’elisir d’amore, a questo riguardo, è imparentato col genere semiserio, quello che discende dalla Nina di Paisiello e dalle pièces larmoyantes di fine Settecento: vi rimandano l’ambientazione villereccia, la vena sentimentale e altro ancora. Molte le coincidenze con La sonnambula di Bellini, che al Carcano di Milano aveva trionfato undici mesi prima: a cominciare dalla felice vena melodica, dalla quale sgorgano canti fluidi e limpidi. Entrambe costituiscono una sorta di idillio romantico, una favola pastorale attualizzata e privata di ogni stilizzazione arcadica. E come La sonnambula trascende il genere serio, L’elisir d’amore trascende quello comico.
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IL SOGGETTO
a cura di Claudio Toscani
dal programma di sala del Teatro alla Scala
Primo atto
L’ingresso d’una fattoria.
In un villaggio dei paesi baschi i mietitori trovano riparo dalla calura estiva all’ombra di un grande albero (preludio e coro d’introduzione “Bel conforto al mietitore”). Adina, bella e ricca fittavola, se ne sta in disparte leggendo un libro; Nemorino, giovane contadino che di lei è innamorato, l’osserva da lontano e si dispera perché non sa come far breccia nel suo cuore (cavatina “Quanto è bella, quanto è cara”). Adina è invitata dai contadini, incuriositi, a leggere ad alta voce; messasi in mezzo a loro, legge la storia di Tristano e Isotta, innamoratisi grazie alla virtù di un filtro magico (cavatina “Della crudele Isotta”). Tutti, naturalmente, vorrebbero conoscere la ricetta del magico elisir. Il rullo di un tamburo annuncia l’arrivo di una guarnigione di soldati, guidata dal sergente Belcore che offre un mazzo di fiori a Adina, le fa la corte e le chiede di sposarlo sul momento (cavatina “Come Paride vezzoso”).Adina, lusingata e divertita, si lascia corteggiare con civetteria, ma non ha certo fretta di accogliere le sue richieste. Allontanatosi Belcore, Nemorino che ha osservato la scena con disperazione, dichiara alla bella il suo amore; Adina lo respinge ancora una volta, dichiarandosi troppo capricciosa per impegnarsi seriamente, e tenta invano di dissuadere il giovane dall’amarla (duetto “Chiedi all’aura lusinghiera”).
Piazza nel villaggio.
Una tromba annuncia l’arrivo del dottor Dulcamara, un abile imbonitore ambulante che giunge su una carrozza dorata e offre agli abitanti del villaggio, accorsi intorno a lui, un farmaco miracoloso, un elisir capace di porre rimedio a tutti i mali (coro e cavatina “Udite, udite, o rustici”). Tutti si precipitano ad acquistare il prezioso liquore. Dopo che la folla si è dispersa, Nemorino si accosta al dottore e gli chiede se sia in possesso dell’elisir che fece innamorare, un tempo, Isotta e Tristano (scena e duetto “Voglio dire… lo stupendo”). Per uno zecchino Dulcamara gli consegna una bottiglia di “bordò”, spacciandola per l’elisir d’amore; ma precisa che il suo effetto non è immediato: occorre infatti attendere ventiquattr’ore (giusto il tempo, per lui, di prendere il largo). L’ingenuo Nemorino, estasiato, beve l’elisir, persuaso, che presto Adina s’innamorerà di lui. La ragazza si avvicina, vede Nemorino in preda a una leggera ebbrezza e si stupisce per l’indifferenza che affetta nei suoi riguardi: la vanità ferita le ispira allora propositi di vendetta (scena e duetto “Esulti pur la barbara”). Torna Belcore e rinnova alla bella la sua proposta di matrimonio. Adina, indispettita per l’atteggiamento di Nemorino, accetta: sposerà il sergente tra sei giorni. Nemorino non se ne preoccupa: sa infatti che l’indomani l’elisir produrrà il suo effetto (terzetto “In guerra ed in amore”). Ma giunge per Belcore l’ordine di lasciare il villaggio coi suoi soldati: Adina decide allora di affrettare il matrimonio e di sposare il sergente quel giorno stesso (finale primo). Nemorino tenta di convincerla ad attendere almeno l’indomani; Belcore, irritato, minaccia il giovane contadino, sinché Adina pone fine all’incresciosa situazione invitando tutti a casa sua, per festeggiare con un banchetto le nozze imminenti.
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Secondo atto
Interno della fattoria d’Adina.
Gli invitati festeggiano i fidanzati (coro d’introduzione “Cantiamo, facciam brindisi”), Dulcamara intona con Adina una barcarola (“Io son ricco, e tu sei bella”), sul tema della bella gondoliera Nina che rifiuta la corte di un ricco senatore perché innamorata del giovane Zanetto. Giunge il notaio per stendere il contratto di matrimonio: Adina tuttavia, irritata per l’assenza di Nemorino (al quale vorrebbe far dispetto firmando l’atto davanti a lui), decide di rinviare le nozze alla sera. Nemorino, disperato, raggiunge Dulcamara e gli chiede come si possa accelerare l’effetto dell’elisir. Il dottore risponde che è necessario aumentarne la dose; ma se il giovane ne vorrà un’altra bottiglia, dovrà pagarla. Senza un soldo, Nemorino accetta la proposta di Belcore, suo rivale, e si arruola come soldato; ricevuti i venti scudi dell’ingaggio, vola a comprare una nuova dose dell’elisir (scena e duetto “Venti scudi? / E ben sonanti”).
Rustico cortile aperto nel fondo.
Giannetta racconta alle donne del villaggio le ultime nuove: è appena morto un ricco zio di Nemorino, che l’ha lasciato suo unico erede (coro “Saria possibile? / Possibilissimo”). Giunge Nemorino, che è ancora ignaro di tutto e ha appena scolato la seconda bottiglia dell’elisir di Dulcamara. Tutte le ragazze del villaggio lo circondano e gli fanno la corte: il giovane lo crede effetto dell’elisir. Adina e Dulcamara contemplano la scena con stupore. La ragazza vorrebbe parlare a Nemorino e dissuaderlo dall’arruolamento, ma le altre giovani lo trascinano a ballare nel cortile (quartetto “Dell’elisir mirabile”). Adina apprende da Dulcamara le ragioni del comportamento di Nemorino e il motivo per cui ha deciso di partire soldato; la ragazza prova rimorso e, credendo di aver perduto Nemorino, sente di amarlo. Dulcamara offre anche a lei il suo elisir, ma Adina rifiuta, preferendo far affidamento sulle sue attrattive per riconquistare il giovane (duetto “Quanto amore! ed io, spietata!”). Nemorino ritorna dal ballo, ma è triste ripensando alla lacrima che ha visto spuntare negli occhi di Adina nel momento in cui lui si rivolgeva alle altre ragazze (romanza “Una furtiva lacrima”). Adina gli annuncia di aver riscattato la sua libertà, restituendo i venti scudi a Belcore, e cede infine confessandogli il suo amore (aria “Prendi, per me sei libero”). I due si riconciliano, mentre Belcore si fa da parte (finale secondo): tutto il villaggio circonda Dulcamara e rende omaggio alla virtù suprema del suo elisir.