Semplicemente geniale! È inutile usare troppi aggettivi o superlativi… l’accoppiata Baryshnikov-Wilson ha colto l’essenza dell’Ars.
L’abilità a tratti materiale e a tratti spirituale dell’allestimento e dell’interpretazione hanno conservato per i 70 intensi minuti della messinscena, espressioni a regola d’arte, un racconto in cui l’attività umana regolata da procedimenti tecnici di massima avanguardia e tecnologia non sono stati altro che l’assoluta certezza fondata sull’esperienza e complicità dei due protagonisti, regista e interprete.
“Letter to a Man” è il risultato della capacità umana di trasporre e creare, con attitudine e talento, un qualcosa di innovativo che presenti l’armonia e la bellezza del teatro in tutto il suo “rito” malgrado il tema portante non sia di facile esposizione.
Una produzione in cui traspare l’assoluta scienza filosofica che si occupa del bello e dell’estetica scenica, diretta a comunicare i sentimenti avendo come tramite i celebri e sofferti “Diari” trasformati in “lucide pennellate” come fossero tracciati “parola per parola” sulla tela.
Mikhail Baryshnikov ha espresso forme plastiche, giocando con la fisicità e la mimica facciale in un crescendo, trasformando “pagine e inchiostro” in una scultura di rara bellezza, sottolineando l’importanza dell’aspetto intellettuale dell’artefice: da una parte il sapere accademico, dall’altra la fragilità dell’animo.
Il palcoscenico milanese si è incarnato in un “corpo illuminante”, un’architettura rappresentata da un taglio di luci che hanno ceduto dolcemente verso la platea creando un lembo per definire i limiti della follia, i tormenti, la guerra, la pazzia, i silenzi, i fantasmi, le camicie di forza.
Le inquadrature, come in un film, hanno delineato nettamente il personaggio di Nijinsky: la regia di Bob Wilson (con la preziosa collaborazione di Lucinda Childs) ha donato a Misha un primissimo piano, un primo piano, un piano medio e una figura intera in cui l’aspetto umano del tormentato ballerino è rivissuto in flashback straordinari e toccanti, passaggi commoventi, espressioni suggestive; frutto della collaborazione tecnico-artistica dove l’unico soggetto in scena ha diffuso e illuminato le zone oscure della mente ammorbidendo le sfumature del male oscuro.
La follia di Vaslav Nijinsky con le ombre di Diaghilev hanno indicato la condizione psichica che, ancora oggi, identifica la sua totale mancanza di adattamento nei confronti della società. Un comportamento ma anche un’invocazione all’entità suprema.
Baryshnikov si fonde in totale simbiosi con Nijinsky riuscendo a scrivere e descrivere l’azione col movimento del pensiero, attento al gesto, al suo valore, ai suoi significati, ai suoi modi. Il celebre danzatore, una vera icona vivente, sempre pronto a reinventarsi, appare completamente calato nel personaggio tanto che il contatto con la sorgente dei “diari” lo trasporta in un gesto-parola con il divino di sovrana raffinatezza ed eleganza.
Lo spettacolo rimarrà negli annali del teatro: “Letter to a Man” racchiude i pensieri, i sentimenti e i deliri di uno dei più grandi ballerini di tutti i tempi, il cuore e l’anima dei Balletti Russi di San Pietroburgo, narrati da Wilson e Baryshnikov con un ritmo compulsivo e incalzante, a tratti poetico e malinconico che hanno saputo trasformare lo spettatore, anche solo per un secondo, in uno degli artisti più idolatrati e osannati della Storia… “un danzatore di Dio”.