Caro Vito, il mondo della danza è molto affascinante. Potresti descriverlo per i nostri lettori, dal tuo punto di vista? Per te è stato subito un colpo di fulmine?
Il mondo della danza è affascinante perché già in partenza abbiamo la fortuna di svolgere la professione in un “ufficio” che il più delle volte è un capolavoro d’architettura. Le storie che portiamo in scena sono un veicolo per intrattenere, far riflettere e sognare il pubblico. Altresì siamo fortunati, perché spesso, indossiamo degli autentici gioielli di sartoria anche se il mondo della danza è formato da uomini e dalla quotidianità del presente e quindi non siamo esenti nemmeno noi dai problemi. L’aspetto di questo che mi piace maggiormente è quando viaggiando professionalmente per il mondo, ho la possibilità di conoscere altri danzatori e magari dopo tre mesi reincontrali ad un altro spettacolo in tutt’altro luogo… piano piano nascono amicizie e simpatie, trovo che sia molto bello dal punto di vista artistico sia da quello umano perché impari ascoltando come funziona un teatro rispetto al tuo, o come un altro direttore instauri il rapporto con i suoi primi ballerini.
C’è stato poi un momento particolare in cui hai realmente creduto che il tuo sogno di diventare un grande ballerino si stava tramutando in realtà?
Dopo il mio debutto in Giselle, la signora Fracci si è avvicinata, c’è stato un lungo sguardo e un abbraccio pieno d’amore, pochi giorni dopo sarei partito per fare la mia audizione a San Francisco.
Parlando dell’étoile Carla Fracci, ai tempi del teatro dell’Opera sei stato diretto da lei, cosa ti ha insegnato maggiormente a livello artistico?
Disciplina! Alcune volte, con i miei amici del Teatro dell’Opera, scherziamo ricordando le grandi sgridate se eravamo in disordine, ritardo, ma tutto ciò ci ha aiutato per la nostra crescita. Sono grato a lei di avermi insegnato Giselle, di avermi sgridato, ma anche tanto coccolato.
Quale significato ha per te la danza?
La danza per me è un modo per sfogare la mia creatività, mi diverte e mi riempe.
Sei un danzatore di fama internazionale, molto si è scritto sulle tue interpretazioni e sulle tue doti tecniche. Ma esiste un aspetto della tua carriera che ti piacerebbe leggere e che non è stato ancora scritto?
Sulla mia carriera ancora in corso no, un amico mi suggerisce di scrivere un libro, naturalmente aiutato da un professionista, sullo stile dei vari balletti appresi da Carla Fracci nei miei anni romani: il significato di un port de bras, la posizione della testa o delle spalle… mi piacerebbe far conoscere il mio amore nel vedere i grandi artisti trasmettere tutto il loro sapere che a sua volta viene da altri grandi artisti di generazioni passate.
Quali ricordi hai del tuo percorso formativo coreutico?
Non ho molti ricordi di come ho incominciato a fare danza. Il mio primo ricordo è una grande sala con una sbarra e dei ragazzi e ragazze sui vent’anni, se non vado errato io ne avevo sette, qualcosa più qualcosa meno. Ricordo anche che divoravo la videocassetta con Fracci e Bruhn in “Giselle”, sapevo i passi di tutti, ogni singolo spostamento del Corpo di ballo e cercavo di capire come arrivare ad eseguire tutti quei bei passi in poco tempo.
Se ripensi agli anni trascorsi presso la Scuola di Ballo del Teatro alla Scala, come li rammenti?
Ricordi belli, tante emozioni, delusioni, scoperte e parecchia voglia di dimostrare ciò che avevamo imparato e appreso durante le lezioni.
Che tipo di allievo sei stato?
Non ricordo dove la mia ex direttrice Anna Maria Prina mi ha definito l’allievo più indisciplinato della Storia della Scuola… diciamo che mi ribellavo, non esitavo a spiegare come vedevo a mio giudizio le cose, e lei lo aveva capito, e ogni volta che ne riparliamo oggi ci viene da sorridere a tutte le ragazzate fatte.
Entrambi abbiamo avuto in comune un grande maestro, Sebastiano Coppa (già danzatore e coreografo del Corpo di Ballo del Teatro alla Scala), quali insegnamenti conservi di lui?
Grazie al Maestro Coppa ho avuto la possibilità di entrare nella Scuola di Ballo alla Scala, quindi senza di lui non staremmo qui a parlare. Gli devo moltissimo!
Mi racconti la tua esperienza al Royal Ballet?
Non sarei il ballerino che sono adesso senza il Royal Ballet. Se un ragazzo ha la fortuna di entrare adesso al Royal Ballet non avrà comunque mai la fortuna che ho avuto io nel 2005, quando feci il mio ingresso: avevo come colleghi Sylvie Guillem, Darcey Bussell, Alina Cojocaru, Johan Kobborg. Quando entri nella tua prima compagnia sei desideroso di conoscere, capire, imitare ed è un po’ come il mondo dei balocchi all’inizio e io volevo stare nel miglior paese dei balocchi immaginabile e ci sono riuscito.
Poi nel 2010 sei entrato a far parte del prestigioso San Francisco Ballet con la nomina a Solista e dopo appena sei mesi Principal Dancer. Qual è stato il tuo punto di forza per aver raggiunto in così breve tempo la vetta?
E chi lo sa, sicuramente il mio Jolly a San Francisco è stato il fatto di essere duttile, ogni coreografo che è passato da SF ha creato qualcosa per me da Mark Morris a Wheeldon a Ratmansky e per finire con McGregor, credo sia la cosa più bella del nostro lavoro essere lo strumento del coreografo, e considero il periodo di prove di un nuovo balletto il lato più ludico del nostro lavoro.
Hai qualche trucco per tenere a bada la tensione, o gesto scaramantico?
No io non sono teso, anzi non vedo l’ora di cominciare, mi capita rare volte di farmi prendere dal panico, è anche vero che più vai avanti con l’esperienza e più sai a cosa vai incontro, la prima volta che danzi Giselle non saprai mai la difficoltà a livello di resistenza del secondo atto, la seconda volta che riprendi il ruolo sai a cosa vai incontro e quindi magari c’è un attimo in più di tensione.
Come si svolge la tua giornata tipo in veste di “danzatore”? Quante ore provi?
Dipende dai periodi, stranamente a quel che si pensa quando si fanno i grandi balletti tipo “Il Lago dei Cigni” io provo tre ore al giorno più la lezione, quando invece si fanno le nuove creazioni o le serate miste si può lavorare fino a sei ore al giorno di prove piu un’ora e mezza di lezione sei giorni su sette.
Di tutti i ruoli solistici che hai danzato, in quale ti sei rispecchiato di più?
Come uomo e persona nessuno, non sono come Romeo o come Albrecht, però se mi obbligassero ad essere cattivo vorrei esserlo come lo è Katschey nell’Uccello di Fuoco di Ratmansky.
Quale spettacolo di danza, in veste di spettatore, ricordi in assoluto per emozione e pathos?
La coppia Guillem/Murru nella “Manon” al Teatro degli Arcimboldi di Milano.
Con quale coreografo ti piacerebbe lavorare? e con quale ballerina ti piacerebbe danzare?
Diciamo che se domani Mats Ek decidesse di fare una coreografia per me e la Guillem, io riuscirei ad esaudire i due desideri che mi hai chiesto.
Dal punto di vista professionale ti manca l’Italia?
Mi manca una grossa parte dell’Italia, quella che lavora, quella che si rimbocca le maniche, l’Italia pura e onesta, non quella sporca e piena di ingiustizie giornaliere, la vita professionale è uguale dappertutto, ogni compagnia ha i suoi problemi e i suoi pregi.
Ora sei Primo Ballerino al Dutch National Ballet. Qual è l’impegno maggiore per mantenere alto questo nome?
Adattarmi allo stile della compagnia e farlo mio.
Le maggiori soddisfazioni professionali che hai ricevuto da quest’ultima nomina?
La possibilità di poter portare un gruppo di solisti della compagnia in Italia con lo spettacolo “Vito Mazzeo e i Solisti del Het National Ballet” dove si potrà vedere l’evoluzione della danza in Olanda.
Volendo sintetizzare, in chiave tecnica, come descriveresti il Corpo di Ballo del Dutch National Ballet sulla ribalta internazionale?
Io ho una fortuna immensa ad aver preso parte a 3 della top 10 delle migliori compagnie al mondo. Mi sono sempre avvicinato a compagnie che avessero una vena creativa molto forte e marcata. Il SF Ballet, il Royal Ballet e il Dutch sono compagnie che si sono fatte largo grazie agli investimenti profusi in nuovi coreografi e nuove creazioni e sono molto orgoglioso di averne fatto parte, naturalmente sono fiero di avere fatto parte del Teatro dell’Opera di Roma che per me è stata la base dell’insegnamento per i grandi classici dal nostro Monumento Nazionale, la signora Carla Fracci.
Secondo te, quali sono le qualità che un giovane danzatore dovrebbe possedere per diventare degno di questo nome?
Desiderio, e tanto cervello per vivere una passione nel modo sano e corretto.
Cosa è riuscita a regalarti la danza?
La possibilità in 27 anni di scoprire, girare, visitare, ammirare il mondo sotto tanti aspetti, se avessi intrapreso un’altra carriera forse non avrei goduto di viste mozzafiato, teatri pieni di storia, e serate indimenticabili.
Di Vito Mazzeo si è sempre sottolineata la sua preparazione e la grande perfezione tecnica. Qual è, se puoi raccontarlo ai nostri lettori il tuo segreto?
Nessun segreto, ma soprattutto nessuna perfezione tecnica, diciamo che ci vuole disciplina.
Smessi i panni da ballerino qual è la tua giornata tipo?
Sono Bianco o Nero, o iperattività quindi voglia di fare e partire oppure ozio puro con un libro.
Che ruolo gioca l’alimentazione per un danzatore?
In teoria sì, ma non perché una dieta può farti dimagrire, ma perché può aiutare la tua prestazione, in questi ultimi anni mi sono avvicinato al basket per motivi sentimentali e il lavoro che fanno a livello di preparazione atletica e alimentare è avanti anni luce, eppure anche a noi serve saltare esattamente come a loro, solo che loro fanno uno studio su quali cibi ed esercizi migliorano l’attività muscolare durante le varie fasi del salto.
La danza negli ultimi anni si è molto evoluta, è diventata più atletica e anche più “fisica”. Sei d’accordo?
Sì d’accordo, ma non sempre è una cosa brutta, anzi può rendere la danza più interessante, il problema sta nell’intelligenza e nel gusto del danzatore.
Secondo te, quali sono le qualità che un giovane danzatore dovrebbe possedere per diventare degno di questo nome?
Un cervello pensante, anche solo con le doti fisiche si può arrivare a far carriera se si è fortunati, ma se un danzatore non ha una testa pensante non mi interessa.
Ci sono stati anche momenti negativi durante la tua carriera?
Oh sì, tante piccole delusioni e promesse non mantenute, ma è una cosa normalissima, succede a chiunque. In passato avevo adottato un valido metodo e cioè quello di cambiare città dopo dei momenti negativi nella carriera, lo trovavo molto energizzante… a parte San Francisco che l’ho abbandonata per realizzare un altro sogno.
Quali sono stati i sacrifici più grandi che hai fatto in nome della danza?
Il dovere aspettare un po’ più degli altri per godere di una quotidianità con il mio compagno.
È difficile conciliare una vita privata con la carriera di danzatore, spesso in giro per il mondo?
Sì specialmente se le persone importanti nella tua vita fanno tutt’altro.
Qual è l’emozione più viva di tutta la tua giovane ma intensa carriera?
Non ne posso nominare una in particolare, sono talmente tante le emozioni vissute… come il camerino pieno di fiori, cioccolatini e biglietti di “in bocca al lupo” prima dell’importante debutto in un ruolo da protagonista a Roma, oppure l’essere presente in un cast di alto livello al fianco di Darcey Bussell e Johan Kobborg per “Stravinsky Violino Concerto” a 18 anni con il Royal Ballet ma anche il mio ritorno a San Francisco lo scorso maggio in “Romeo e Giulietta”, senza dimenticare la “Giselle” diretta dalla Signora Fracci con 38 di febbre seduta sul palco di proscenio che osservava ed io in palcoscenico pure febbricitante, o l’essere in sala ad Amsterdam con Anthony Dowell… potrei andare avanti per ore.
Vito, qual è il balletto che non hai ancora danzato e vorresti esserne protagonista?
Del repertorio sicuramente “Bayadere”, che ritorna il prossimo anno ad Amsterdam. Di balletti del novecento non saprei, ogni giorno cambio gusto… oggi ti direi che mi piacerebbe danzare “A month in a Country” di Ashton e domani magari qualcosa di Glen Tetley.
Quali sono le modalità per preparare la fase interpretativa di un balletto?
Diverse ogni volta, dipende a che punto sei nella tua carriera, cosa stai vivendo in quel momento nella vita personale; alcune volte ti fai invadere solo dalla musica altre volte sei più meticoloso.
Quale coreografo ha influito maggiormente sulla tua formazione artistica?
Sembrerà strano, perché non ho ballato molto del suo repertorio, ma Ashton è stato importante fin dall’inizio della mia carriera. Al Royal Ballet, io venivo da un’impostazione prettamente Russa e la musicalità di Ashton è risultata come un ventata energizzante… dal port de bras all’epaulement ho sempre cercato quella precisione in ogni balletto classico che ho danzato. A Roma i miei colleghi si divertivano a prendermi in giro dicendo che ballavo all’Inglese.
E con quale coreografo hai tratto maggiore emozione e pathos durante una creazione?
Emozioni e pathos differenti dall’immaginario collettivo me le ha date Wayne McGregor. Mentre un coreografo che veramente infonde tutto se stesso è, a mio avviso, Yuri Possokhov. Un altro estremamente ironico trovo sia Mark Morris.
Se non avessi scelto di fare il danzatore quale altra professione poteva essere nelle tue corde?
Anche qui potrei cambiare idea ogni giorno! In questo momento ti direi “Direttore d’Orchestra”: pensa che bello sarebbe dirigere la Royal Concertgebouw nel “Piano Concerto n. 2” di Rachmaninov… domani invece magari aver a che fare con il Mercato dell’Arte.
Il maggiore ostacolo che hai incontrato nel corso della tua carriera?
Questo non vale solo per me, ma i maggiori ostacoli provengono dalle persone che non dovrebbero occupare alcune posizioni.
L’errore da non ripetere, se mai ce ne fosse stato uno?
Ancora non mi è accaduto, ma l’essere incoerente con se stessi è il più grande errore.
Lo specchio è uno strumento fondamentale per un ballerino. Che cosa rappresenta per te questo oggetto?
Nel mio caso non è mai stato un nemico, anzi alcune volte aiuta, specialmente quando, entro i limti, puoi correggere parte dei tuoi difetti.
Ultimamente ci siamo ritrovati in teatro per l’addio alle scene di Sylvie Guillem. A tuo avviso, cos’ha rappresentato lei artisticamente per la danza a livello mondiale?
Una svolta netta, come donna, come ballerina! Lei per me è un esempio di coerenza in danza e questo mi affascina molto.
Ti piacerebbe danzare sul palcoscenico del Teatro alla Scala, tu che arrivi e ti sei brillantemente diplomato alla Scuola di Ballo scaligera?
Certo che sì, se il Direttore Vaziev vorrà… assolutissimamente, sono sicuro che sarebbe una di quelle esperienze da ricordare per sempre.
Hai danzato in tanti Paesi del mondo. Il pubblico è differente, dal palcoscenico si percepisce?
Tantissimo, e poi cambia negli anni, in Cina adesso incominciano ad urlare “Bravo”, fino a 10 anni fa non lo avrebbero mai fatto. Il pubblico messicano è stupendo, e il pubblico italiano può essere molto critico, ma questo mi piace assai.
Qual è la serata da protagonista che ti è rimasta maggiormente nel cuore?
“Winter Dreams” il 25 marzo del 2011. Ero entusiasta di danzare quel balletto di MacMillan e poi quella sera sono entrato in teatro da Solista e ne sono uscito come Principal… direi che la fortuna, quel giorno, girò esattamente dalla mia parte.