“Il pubblico deve essere consapevole di vedere il testo e non l’attore” aveva spiegato Luca Barbareschi presentando Una tigre del Bengala allo zoo di Baghdad, lo spettacolo che ha diretto e interpretato, scelto per inaugurare la riapertura del Teatro Eliseo di Roma.
Scritto dal giovane drammaturgo statunitense Rajiv Joseph, finalista al Premio Pulitzer 2010, in scena a Broadway nel 2009 con Robin Williams, il testo non è certo una scelta casuale che non solo arriva in un momento di piena maturità artistica dell’attore-regista-produttore, ma definisce come teatro di drammaturgia la nuova linea artistica dell’Eliseo.
Architetture orientali e sagome di animali (che richiamano un po’ lo zoo in fuga nella Belgrado di Underground): siamo in una Baghdad devastata dalla guerra, al centro del palco, una tigre (interpretata Luca Barbareschi) dietro le sbarre. La quarta parete viene immediatamente abbattuta quando la tigre comincia a parlare, a raccontare della fuga dei leoni e della guerra fino a quando la sua voce si sovrappone a quella dei due marines americani collocati di guardia a controllarla.
Finirà male: tradito dall’istinto primordiale della fame, il felino viene ucciso da uno dei due soldati dopo aver reciso la mano dell’altro, ma resta costantemente in scena e torna come fantasma a offrire uno sguardo primitivo e apolitico sui problemi irrisolti del terzo millennio: in un testo ferocemente attuale che riflette sugli effetti devastanti della guerra, sul popolo oppresso e sugli americani, che si intrecciano le riflessioni filosofiche e ironiche di questa tigre, depositaria di una serie di domande che incarna via via un senso di colpa destinato a presentarsi come effetto domino.
Nonostante la drammaticità del tema, il registro narrativo (e la regia di conseguenza) tendono a variare, quasi a stridere, creando un’efficace variazione fra toni violenti, momenti onirici, paradossali se non addirittura comici per raccontare in modo non banale la follia e l’assurdità di una guerra che ha devastato un Paese e disseminato le basi del terrorismo.
“A volte sono i testi che inseguono noi. Ho avuto la possibilità di poter mettere ora in scena un testo che mi riflette in un momento di maturità artistica e credo che questo sia lo spettacolo giusto per riaprire l’Eliseo – racconta Barbareschi – Il mio personaggio, la tigre, rappresenta una sorta di spina dorsale della pièce anche quando non sono in scena incarnando l’aspetto istintivo rispetto al controllo sociale e alle istituzioni. Questo spettacolo è anche la storia di come un sogno possa diventare realtà e di come la passione e la volontà possano vincere le difficoltà e superare le barriere, anche temporali.”
Multietnico il cast che annovera una bella prova d’attori con Denis Fasolo e Andrea Bosca nel ruolo dei due marines americani, Sabrie Khamiss (la freschezza perduta), l’intensa Nadia Kibout, Marouane Zotti (il traduttore alle prese con la rivendicazione di sé stesso), Hossein Taheri (il sadico figlio di Saddam Hussein). Autore sul palco e grandi applausi per la nuova avventura del teatro. In scena fino all’11 ottobre.