Dopo il grande successo della scorsa stagione Andrèe Ruth Shammah riporta in scena il “Malato immaginario” con la stessa regia che la vedeva impegnata nel 1980 nella sua prima direzione registica con il grande Franco Parenti protagonista assoluto. In questa pièce Molière prende di mira la mania ipocondriaca del malato e l’imperizia dei medici. La regista attenua forse i toni drammatici per privilegiare la grande struttura comica del testo che stinge in smorfia, amarezza e veicola serie riflessioni sui disvalori della società, sulla vita e la morte. Molière sviluppa il discorso sull’illusione della salute senza lo sgomento esistenziale che ricordiamo in altre versioni. Il grottesco prevale sulla farsa, la comicità è bonaria e immediata. Argan tenta di esorcizzare la nevrosi della malattia, aggravata dalla natura immaginaria, con il ricorso alla medicina per sottrarsi al pensiero, in verità non immanente, della morte. D’altra parte la malattia certifica l’esistenza in vita quindi inganna la morte.
Se è vero che vivere è essere malati che cioè sin dalla nascita tutti siamo malati terminali è altrettanto vero, e ben si addice al nostro personaggio, quel diceva Enzo Jannacci in “Quelli che…“quelli che vivono da malati per morire da sani”.
La rappresentazione si svolge in un ambiente piuttosto asettico con una poltrona su cui siede Argan (con una candida cuffia a pizzi, vestaglia bianca, calze bianche e ciabatte ai piedi), un tavolino pieno di pozioni e attrezzi medicali. La stanza vuole essere la metafora della sua solitudine e la prigione della sua nevrosi/depressione.
In breve la storia.
Argan, ossessionato dalla propria salute e convinto che non ci sia nulla di più importante della medicina, ha deciso di dare in moglie la propria figlia a un medico goffo e pedante che è invece innamorata di un bel giovane. Accanto ad Argan trama la sua seconda moglie che vuole impossessarsi dell’intero patrimonio del marito. A dar man forte alla figlia c’è una serva molto determinata che, con l’aiuto del fratello saggio del “malato”, convince Argan a fingersi morto. La reazione di grande cinismo e soddisfazione della moglie e la genuina disperazione della figlia lo convince a scacciare la moglie e dare in sposa la figlia al suo innamorato, a patto però che il giovane diventi medico. Nel finale Argan, che accetta di essere insignito ad honorem del dottorato in medicina, rimane solo sulla sua poltrona mentre le luci si abbassano fino a spegnersi
Dietro al protagonista malato immaginario, c’è Molière malato vero. E’ l’attore Molière che muore nel suo personaggio come avvenne realmente alla “Commedie Francaise” la sera del 17 febbraio 1673.
Gioele Dix rientra perfettamente nello stereotipo di Argan, è padrone della scena e, all’occorrenza, sa essere comicamente melenso, piagnucolone, furioso, accomodante, imperioso. E sempre misurato. Grande prova di attrice quella di Anna Della Rosa che interpreta con incredibile bravura, giocando su diversi ruoli, il personaggio della serva Tonina. Lui, Argan dà corpo alla nevrosi, Tonina al sano pragmatismo. Ottima l’interpretazione dei giovani Francesco Brandi nelle vesti di Tommaso Purgon e Francesco Sferrazza Papa in quelle di Cleante (personaggio interpretato nel 1980 da Gioele Dix!!). Bravissimi tutti gli altri da Marco Balbi (professor Purgon) a Piero Domenicaccio (Professor Fecis), Alessandro Quattro, Linda Gennari, Valentina Bartolo, Pietro Micci.
Molto belli i costumi disegnati da Gianmaurizio Fercioni, funzionali il servizio luci di Gigi Saccomandi e le musiche di Michele Tadini e Paolo Ciarchi.
Grazie alla regista Andrèe Ruth Shammah che ha messo in scena uno spettacolo di indubbia eleganza e di notevole felicità espressiva.