“Come accade che in ogni regime, in ogni luogo e tempo della storia, singoli uomini o sparute minoranze riescono a dominare e asservire le masse?” (E. de la Boétie)
Questa commedia nera, irriverente, funambolica, divertente traccia una parabola discendente del potere. La scena si apre in un giardino, il migliore possibile naturalmente perché libero da ogni istanza metafisica o almeno così decantano le attrici sulla scena, che è lo stesso palcoscenico dove quattro attrici/cortigiane, di bianco vestite e dalle movenze sia plastiche sia che richiamano lo slapstick del cinema muto, inscenano sotto ferrea dettatura di un’invisibile padrona, Madame, le avventure tragicomiche e le disgrazie filosofiche de il Candido di Voltaire. Madame, Deus ex machina della vicenda, rappresenta il potere dell’Ancien Regime, distaccato e tirannico, nobile e altezzoso, a cui le attrici/cortigiane sottostanno serene della loro prigionia, grate alle loro catene di sicurezza, competendo tra loro per compiacerlo ed esserne la favorita.
“In questo migliore di mondi possibili, tutti i fatti son connessi tra loro. Tanto è vero che se voi non foste stato scacciato a gran calci nel sedere da un bel castello, per amore di madamigella Cunegonda, se non foste capitato sotto l’Inquisizione, se non aveste corso l’America a piedi, se non aveste infilzato il Barone, se non aveste perso tutte le pecore del bel paese di El Dorado, voi ora non sareste qui a mangiar cedri canditi e pistacchi.” (Dal Candido di Voltaire)
Ma questo stato di cose non durerà a lungo. I messaggi sibillini e perentori di Madame non eserciteranno a lungo la loro gioiosa coercizione, la rappresentazione verrà interrotta e turbata dalla decapitazione di Madame stessa, da parte delle ombre, nere ombre rivoluzionarie. Si apre per le quattro cortigiane/attrici uno scenario inatteso, una nuova sensazione e atmosfera causata da quel tragico e provvidenziale accadimento. La Dea Ragione fa la sua silenziosa entrata sulla scena, prendendo il trono e lo scettro che una volta era di Madame. Sarà un nuovo modo di vivere, sarà la tanto misteriosa libertà?
“Egli dimostrava mirabilmente che non c’è effetto senza causa, e che in questo migliore dei mondi possibili… è provato, diceva, che le cose non potrebbero andare altrimenti: essendo tutto quanto creato in vista di un fine, tutto è necessariamente inteso al fine migliore. I nasi, notate, son fatti per reggere gli occhiali: e noi infatti abbiamo gli occhiali… Ne consegue che coloro i quali hanno affermato che tutto va bene, han detto una castroneria. Bisognava dire che meglio di così non potrebbe andare.” (Dal Candido di Voltaire)
Le quattro cortigiane/attrici nel finale si dividono. Rimangono in tre nella controluce del palcoscenico, come tre lugubri grazie di un universo ancora sconosciuto, privato anche della Dea Ragione. Nel giardino ora spoglio e caotico la scena diventa ombrosa, inquietante. La tanto prima inattesa e poi agognata libertà diventa libertinismo. Come nel cinema la scena va in dissolvenza sulla parole in distorsione del Marchese de Sade.
“La virtù non conduce ad altro che all’inazione più stupida e più monotona, il vizio a tutto ciò che l’uomo può sperare di più delizioso sulla terra.” (Marchese de Sade)
Questo spettacolo sulla scia de il Candido di Voltaire, a cui è intimamente debitore, pone allo spettatore di oggi delle ineliminabili quanto eterne questioni filosofiche, anche attraverso l’uso di un linguaggio meta-teatrale. L’ottimismo e la metafisica hanno fatto il loro tempo? La provvidenza secondo cui le cose accadano, dettate e condizionate sì dal libero arbitrio ma dirette verso un fine ultimo e giusto, è un istanza ancora valida? Il male ha una natura indefinibile, antifinalistica? Davanti agli orrori del mondo e alle disgrazie com’è ragionevole comportarsi? Questo è il peggiore dei mondi possibili (e non certo il migliore come sarcasticamente Voltaire fa spesso ripetere ai suoi personaggi e così le quattro cortigiane/attrici ripetono)? Vivere significa soffrire? E quindi, cos’è la felicità? Si può pensare sia vincolato al potere, a cui di volta in volta sono asserviti gli uomini, il possibile o meno raggiungimento della felicità? In quest’ottica la disubbidienza è sinonimo di libertà e quindi felicità? Il pessimismo di Voltaire può paradossalmente ridare “speranza” ad un’umanità liberata dalle illusioni sulla propria sorte e sulle proprie possibilità?
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MURMURIS
Murmuris è una giovane realtà culturale di Firenze che si occupa di produzione teatrale, di formazione e di promozione e diffusione della cultura teatrale. Attivi dal 2007, affrontano, dal punto di vista artistico, tematiche e proposizioni incentrate sul confronto tra i linguaggi e le arti performative. Parallelamente alla attività di creazione e produzione di spettacoli, Murmuris si occupa di organizzazione: dal 2007 al 2013 si occupa della Direzione Artistica e organizzativa del Teatro Everest di Firenze. Murmuris collabora attivamente con altre realtà culturali nazionali e regionali come Il Vivaio del Malcantone, Attodue – Laboratorio Nove, Fosca ed è tra gli ideatori e fondatori del Premio Inbox. Dal 2013 Murmuris fa parte, insieme a Versiliadanza e Elsinor, della Residenza Multipla FLOW del Teatro Cantiere Florida, realizzata grazie al sostegno della Regione Toscana per il triennio 13-15.
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ATOODUE/LABORATORIO NOVE
Attodue/Laboratorio Nove nasce nel 1982 come struttura di produzione e formazione teatrale. Da allora diventa una delle più importanti compagnie italiane di ricerca dedite sia alla nuova drammaturgia che alla sperimentazione dei linguaggi di rappresentazione. Fa conoscere in Italia nuovi autori di teatro (Sarah Kane, Mark Ravenhill, M.M.Bouchard, J-L-Lagarce,ecc), impegno che gli vale il conferimento nel 1999 del Premio Ubu. Dal 2004 ha aperto nuove e importanti collaborazioni internazionali: prima con il croato Branko Brezovec con cui allestisce tre spettacoli, e nel 2007, con lo spagnolo Rodrigo Garcia e il parigino Patrice Bigel. Accanto alle attività internazionali, il Laboratorio Nove ha sviluppato un originale percorso di ricerca con il Luca Camilletti, un artista poliedrico che spazia dall’arte performativa al teatro. Negli ultimi tre anni importante è stata la collaborazione con Massimiliano Civica che ha portato alla produzione nel 2014 dello spettacolo “Alcesti” di Euripide in una particolare dimensione scenica, accolto dalla stampa nazionale come uno dei grandi eventi dell’anno. Oltre alle regie di Barbara Nativi, che hanno segnato i primi anni di vita di AttoDue (Laboratorio Nove), da ricordare le regie, tra gli esteri, di Rickard Gunther, John Jesurun, Andras Jeles, Rodrigo Garcia, Paula De Vasconcelos, Manuel Pereira e i già citati Branko Brezovec e Patrice Bigel, e tra gli italiani: Simona Arrighi, Sandra Garuglieri, Laura Croce e i già citati Camilletti e Civica. Dal 2013 Attodue è Compagnia Residente riconosciuta dalla Regione Toscana al Teatro della Limonaia di Sesto Fiorentino.
Uno spettacolo ispirato a “Candido” di Voltaire di Magdalena Barile con Simona Arrighi, Luisa Bosi, Laura Croce, Sandra Garuglieri, collaborazione al progetto Massimiliano Civica, Silvano Panichi, Francesco Migliorini, una coproduzione Murmuris Attodue / Laboratorio Nove