Un incessante dialogo, un continuo inseguirsi e scappare, un fuggire e mettere in fuga alla ricerca della propria essenza, tra pareti spaventosamente bianche su cui la protagonista cerca di lasciare i propri segni, ma che rimangono bianche. L’individuo si dibatte tra la propria ombra e il proprio fantasma, in un equilibrio eracliteo difficile da trovare, l’io e il sé ballano insieme, poi si fanno lo sgambetto, in una continua automistificazione che vuol essere rivelatrice del profondo nucleo umano e del suo binarismo tra immensità e piccolezza. L’anima si spoglia progressivamente e si riavvolge nei suoi veli, scopre di non potersi specchiare se non in se stessa. Io e Sé si riconoscono senza bisogno di sguardi, ma si temono reciprocamente quando non si guardano – anche le ombre possono avere paura – diventano voci nel muro o mani che strangolano i sogni, ma sono indissolubilmente legati. L’essere umano perde le ali e scopre la propria inutilità; si confonde con la sua ombra, che lo insegue, lo perseguita, finchè si tuffa in essa e vi trova una coda di sirena. Così la sua piccola luce interiore, dopo averlo gettato tra le fauci del buio, diventa finalmente stella polare. Attraverso una gestualità quasi primitiva e la presa di confidenza con il proprio corpo, l’attrice trova la radice degli istinti umani in un’involuzione-evoluzione, nella coreografia ricerca ed espressività coincidono perfettamente, proiettandoci nel candore avvolto di tenebre che è l’interiorità umana. Lo spettacolo è di Elisabetta Faleni, che insieme a Elisabetta Pajoro si è occupata anche di scene e costumi. Bravissima Corinna Agustoni, la cui espressiva fisicità lascia sbalorditi, supportata dalla voce di Elena Callegari.