Il mondo e il teatro di Carlo Goldoni secondo Maurizio Scaparro: è in scena al Teatro Argentina La bottega del caffè, celeberrima commedia scritta nel 1750 che presenta un microcosmo di umanità che fra molti vizi (tradimenti, pettegolezzi, avidità, inganni e gioco d’azzardo) e poche virtù, incarna non solo la decadenza della Serenissima raccontata con brio e un tocco di malcelata nostalgia, ma racconta con spietata amarezza come il mondo a distanza di qualche secolo non sia poi così cambiato.
Originariamente destinata agli spazi raccolti del Teatro Valle (purtroppo non ancora riconsegnato), La bottega di Scaparro è uno spettacolo solido e tradizionale che porta in scena un testo modernissimo dove Goldoni racconta un mondo che si trova raccolto intorno alla piazza della città che ha il suo fulcro nella Bottega del caffè del magnanimo Ridolfo.
In una girandola di equivoci, tradimenti, soffiate e abbattimenti della quarta parere con i personaggi che si rivolgono al pubblico, Scaparro mette in scena il suo quarto Goldoni in carriera (dopo Una delle ultime sere di Carnovale, Il teatro comico, Mémoires) con una regia impeccabile, tempi perfetti nei dialoghi (tremendamente attuali) che catturano attimo dopo attimo lo spettatore omaggiando l’Europa e la sua formazione e lasciandola intravedere attraverso la città di Venezia.
“Abbiamo lavorato sul testo raccontando il rapporto fra le bische, le botteghe e i bordelli che rappresentano il lento e inesorabile declino della grandezza di Venezia, una delle città più belle del mondo, da cui Goldoni sembra voler prendere le distanze – ha commentato il regista – Mi ha affascinato anche che ci sia una valenza politica nella storia che apparentemente sembra avulsa dal testo, e che si concretizza attraverso le notizie che arrivano dalle gazzette europee, fino al rimpianto per una Napoli mai conosciuta. È un omaggio a Venezia, a Napoli, a Parigi e naturalmente alla nostra Europa”.
Cuore della commedia è la presenza del meschino e pettegolo Don Marzio, gentiluomo napoletano sempre pronto a denigrare gli altri alimentando le maldicenze interpretato da uno straordinario Pino Micol che torna a lavorare dopo molti anni con Scaparro e che duetta con il Rifoldo del misuratissimo Vittorio Viviani che offre cuore e anima al personaggio del caffettiere dal cuore d’oro, deus ex machina della vicenda e simbolo della borghesia goldoniana.
Intorno a loro un’ottima compagnia di attori, Manuele Morgese, Ruben Rigillo, Carla Ferraro, Maria Angela Robustelli, Ezio Budini, Giulia Rupi, Alessandro Scaretti, che si muovono fra i lodevoli costumi del Settecento e le plumbee e scenografie di Lorenzo Cutùli accompagnati dalle musiche rarefatte del premio Oscar Nicola Piovani.
A 82 anni Maurizio Scaparro ci regala un Goldoni perfetto, tradizionale, ma non scontato, brioso e leggero, immergendolo in un’atmosfera un po’ vivace e un po’ malinconica che lascia constatare con una certa amarezza come vada il mondo: nel finale sospeso, Don Marzio, vituperato da tutti dopo essere suo malgrado diventato il capro espiatorio dei mali della società, finisce disprezzato e solo, ma è pur vero che lo stesso Don Marzio, pettegolo e vanesio gentiluomo napoletano, è responsabile in prima persona degli equivoci in scena, è pur vero che maldicenza, vizi, gioco d’azzardo e tradimenti sono il pane quotidiano dei veneziani (e della società contemporanea). Ma Don Marzio sarà davvero pentito? Poco importa: il mondo continua comunque a girare così, fra troppi vizi e poche virtù. Da applausi. In scena fino al 15 novembre.