Giobbe Covatta porta nella città di Dante La Commediola, una versione “apocrifa” della Divina Commedia, scritta da tal Ciro Alighieri. Guidato da Virgilio, un bimbo africano, questo Alighieri dall’accento napoletano intraprende un viaggio nel cuore dell’Africa alla scoperta di un continente dai mille volti, che da sempre paga il prezzo di colpe altrui.
Sulle orme di Ciro Alighieri, parente del ben più noto Dante, s’intraprende un viaggio al seguito di Virgilio, un bimbo africano che accompagna l’Alighieri alla scoperta del suo continente. Ma quello a cui il pubblico assiste è tutt’altro che un tipico viaggio da turista. Il piccolo Virgilio, infatti, ci accompagna tra i gironi dell’Inferno, un inferno dai contorni reali e in cui a scontare la pena sono le vittime stesse dei peccati. A prendere per mano Ciro, ad orientarlo in questa terra straniera, fatta di tradizioni ed innumerevoli etnie, ci sono gli occhi di Virgilio. Occhi vivaci di bambino, grati, desiderosi di parlare, ma al contempo deboli e costretti al silenzio, come quelli dei bambini d’Africa.
Con il solo aiuto di una lavagna ed un leggio, Giobbe Covatta alterna al reading spassosi racconti di viaggio. Il tono è quello a cui ci ha abituati: ironico, leggero, ma pungente. I temi trattati sono infatti seri, drammatici. Si parla di fame, sfruttamento, malattie e guerre. Si parla di un continente in cui l’età media è 18 anni e l’aspettativa di vita è bassissima. Questo è quindi uno spettacolo dedicato all’infanzia, ai diritti dei minori e ai deboli che non hanno voce. In sala si ride e si riflette, ci si interroga. Ed è proprio questa la chiave di successo dello spettacolo. Il comico napoletano si lascia andare ad esilaranti racconti: incontri con tribù, ‘convivenze’ con animali o bizzarre usanze tribali. La narrazione è una finestra sul continente africano, un soffio di vitalità e di leggerezza. È l’amore, per l’Africa e per i suoi bambini innocenti, a fluire dalle parole di Covatta, che sgorgano generose verso il pubblico. Esperienze, sensazioni e ricordi, che tra le risa accompagnano alla scoperta dell’altro e del sé.
“O patria mia ipocrita e distorta. Questo è l’Inferno […] dove le pene le pagano le vittime”. Le parole dell’Alighieri poeta napoletano, ci mettono davanti alle contraddizioni della nostra società. L’ipocrisia che si nasconde dietro a uomini rispettabili che si recano nel Terzo Mondo per comprare l’innocenza di giovani ragazzine o a uno Stato che investe in armi il denaro che potrebbe essere utilizzato per vaccinare tutti i bambini d’Africa. Covatta ci mette davanti a queste e a molte altre ipocrisie. È uno schiaffo il suo, a suon di pungente ironia. Uno schiaffo al perbenismo, agli stereotipi e alla comoda superbia in cui ci adagiamo. Mentre invece dovremmo abbandonare questo torpore ed iniziare ad informarci, divenendo parte attiva, perché la conoscenza dei diritti e delle loro violazioni, è l’unico strumento in grado di diffondere una cultura di rispetto e di uguaglianza, dando una speranza di pace a tutte le nuove generazioni.