Finalmente un lavoro intelligente, divertente, elegante, delicato e garbato scritto in modo sagace da un italiano, Mario Gelardi, che si dedica anche alle regie oltreché alla scrittura di soggetti per i quali ha meritato numerosi riconoscimenti e all’editoria (è fondatore e direttore editoriale della Casa Editrice Caracò).
Se si aggiunge che L’abito della sposa è recitato in modo esemplare dai validissimi Pino Straboli (attore, autore e conduttore televisivo) nei panni del protagonista Lucio, un sarto di mezza età che ha ereditato la professione dai genitori con i quali ha girato mezza Italia come si desume dall’accento composito malgrado l’origine partenopea, e nelle vesti di Nunzia, giovane sartina di provincia appena assunta, da Alice Spisa che ha debuttato giovanissima e dopo studi all’estero ha vinto nel 2013 il Premio Ubu come Nuova Attrice Under 30 – entrambi diretti in modo corretto ed equilibrato dalla regia di Maurizio Panici, fondatore e direttore di teatri – si può affermare che vale veramente la pena vederlo.
Ambientata nel ’63, anno ricco di eventi leggeri e di altri tragicamente dolorosi quali la storia d’amore tra Sofia Loren e Carlo Ponti che occupa le pagine dei rotocalchi, l’assassinio del Presidente Kennedy, la tragedia del Vayont… che riecheggiano tra una canzoncina e l’altra – che il nostro sarto ascolta rapito e coinvolto da radio e giradischi finendo con il divenire fan di molti cantanti tra cui la scatenata Rita Pavone (presente in sala la sera della prima a Milano), Mina… in attesa delle trasmissioni televisive (all’epoca limitate alle ore serali) – la pièce racconta il quotidiano passando dalla macrostoria alla microstoria di Lucio che occupandosi di divise militari è costretto a chiedere aiuto a una sartina quando un alto graduato dell’esercito gli ordina nientemeno che l’abito di nozze della figlia in procinto di sposarsi in fretta e furia.
Sarà solo il caso ad avere guidato l’introversa, impacciata, taciturna, schiva e scontrosa ricamatrice nella vita dell’altrettanto burbero, ancorché più aperto se non logorroico Lucio? Due solitudini che si scontrano e s’incontrano mentre preparano l’abito nuziale fino a creare attraverso mezze confidenze e rivelazioni una complicità disvelatrice dei problemi di ciascuno che si dipanano con lieve, elegante e tenera naturalezza soffusi da un sottile velo di melanconica nostalgia accentuato da musiche d’epoca accuratamente scelte da Paolo Vivaldi.
Una piccola gemma preziosa – che va gustata ammirandone le microsfaccettature per esempio della scenografia essenziale che dà il senso di un benessere e di una dignità oggi ‘un po’ tanto’ desueti portando alla luce usi, costumi, mentalità, pregiudizi e vizi di un’Italia che fu più tradizionalista, ma più autentica e vera per sorridere, ridere e intenerirsi.