Quanto può far male aggrapparsi ai sogni? Chi riuscirà mai ad abbandonarli, a smettere di crederci? Possono le illusioni salvare dal dolore di una realtà schiacciante e brutale? Miller non è sicuramente il primo a porsi queste domande; già Foscolo, Leopardi, e ancora tanti altri poeti e filosofi avevano affrontato questi interrogativi cercando delle risposte. Ma il testo di Miller, non aspira a tanto, non cerca un assoluto, non vuole insegnare a vivere. “Morte di un commesso viaggiatore” racconta la realtà, una realtà difficile da accettare, che diventa così opprimente e drammatica da spingere il protagonista della pièce, Willy Loman, ad alienarsi. In scena tutti entriamo nella sua testa, condividiamo paure, rimorsi, fallimenti e speranze. Ritorniamo in un passato troppo lontano, ma ben impresso nella mente; un passato che diventa un’ancora per riuscire a sopravvivere.
La finzione domina la scena, è protagonista assoluta. Si può leggere ovunque: negli affetti, nei confronti di se stessi, nei confronti della realtà. Willy è un commesso viaggiatore, colto nella sua fase ascendente, che non accetta i fallimenti e si trincera dietro convinzioni che lui stesso sa essere false ma che gli permettono di andare avanti nella vita. Una sovrapposizione di tempi ci permette di capire, sebbene in modo disordinato, come sia potuto arrivare ad una tale condizione, come ogni speranza in lui si sia lentamente affievolita, per poi spegnersi. La regia di Elio de Capitani è magistrale in questo: alterna di continuo diversi piani temporali, li mescola, li confonde, e attraverso richiami sonori o illuministici, fa entrare il pubblico in una dimensione o in un’altra. I sogni e i ricordi che invadono la mente di Willy Loman si rincorrono, si palesano agli occhi degli spettatori in un turbinio di voci, di scene, di memorie. La voglia di essere parte di quel celebre “sogno americano” del XX secolo si manifesta negli oggetti che occupano la scena; primo su tutti il frigorifero. Aperto e chiuso più volte durante la rappresentazione, è l’emblema della modernità, della voglia di affermazione, del bisogno di sentirsi parte di una specifica condizione sociale. Ma il frigorifero, che si rompe di continuo ancor prima di essere pagato totalmente, è metafora di una vita basata sull’apparenza, che è accecata dal brillio dei sogni ma che, in profondità, è rotta, spezzata, da riparare. E da recuperare sarebbero anche le relazioni tra i personaggi, gli affetti familiari, le certezze che ormai nella famiglia Loman sembrano sgretolarsi di giorno in giorno. I figli di Willy, Biff (interpretato da un bravissimo Angelo di Genio, che riesce a calibrare scatti d’ira e di insofferenza con gesti amorevoli) e Happy (che prende vita grazie a Marco Bonadei), che da ragazzini osannavano il padre adesso riescono solo a vedere nella sua figura la disfatta di un uomo che, ormai, ha perso la sua energia, la sua verve, il suo sorriso. E per chi, come Willy Loman, è convinto che “il prodigio di questo Paese è che un ragazzo possa finire coperto di diamanti anche solo grazie alla sua popolarità, al suo sorriso!”, smettere di affrontare la vita con leggerezza e di piegarsi alla triste realtà è sintomo della vanità dei principi su cui ha fondato l’educazione dei suoi figli. E il risultato di una formazione basata su questi principi non tarda ad arrivare: Happy e Biff sembrano non essere mai cresciuti, non riescono a capire cosa sia il senso del dovere o di responsabilità nonostante il padre sia convinto di averli cresciuti nel modo più giusto e di avergli fornito gli strumenti necessari per affrontare il mondo, che, come ripete in scena più volte lo zio Ben (interpretato da Gabriele Calindri) “è una jungla”. Ma, come scrive lo stesso Elio de Capitani nelle note di regia, “si fallisce dove si è puntato di più, nei figli, nell’averli addestrati a una guerra che non sono pronti a combattere: la guerra del fare le scarpe al prossimo, dell’arrivare primi nella vita, il sogno di svoltare una volta per tutte.”
È questa la filosofia che ha animato sempre la vita i Willy Loman, riassunta perfettamente già dall’entrata in scena: uomo dedito al lavoro per una vita, stanco, legato inseparabilmente alle sue grandi valigie piene di campioni da mostrare ai clienti. Una vita, come dirà Charley (unico personaggio positivo, assieme al figlio Bernard) al funerale di Willy che è “aggrappata a un sorriso o al lucido che hai sulle scarpe. E quando nessuno ti sorride più è la fine del mondo. Da quel momento cominci a sbrodolarti il vestito e addio, sei finito. Un commesso viaggiatore deve sognare. I sogni fanno parte del mestiere”.
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La tournée della compagnia:
PIACENZA, TEATRO MUNICIPALE: 17 – 18 NOVEMBRE 2015
CASTELFIORENTINO, TEATRO DEL POPOLO: 26 NOVEMBRE 2015
PISA, TEATRO VERDI: 28 – 29 NOVEMBRE 2015
SAVONA, TEATRO CHIABRERA: 1 – 4 DICEMBRE 2015
ROMA, TEATRO ARGENTINA: 9 – 20 DICEMBRE 2015
MODENA, TEATRO STORCHI: 10 – 13 MARZO 2016
RIMINI, TEATRO NOVELLI: 15 – 17 MARZO 2016
RAVENNA, TEATRO ALIGHIERI: 19 – 22 MARZO 2016
BERGAMO, TEATRO DONIZETTI: 29 MARZO – 3 APRILE 2016
FERRARA, TEATRO COMUNALE: 8 – 10 APRILE 2016
SONDRIO, TEATRO SOCIALE: 12 APRILE 2016
PARMA, TEATRO DUE: 15 – 17 APRILE 2016
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MORTE DI UN COMMESSO VIAGGIATORE (iNTERPRETI)
di Arthur Miller
traduzione di Masolino d’Amico
regia di Elio De Capitani
con Elio De Capitani [Willy Loman],
Cristina Crippa [Linda Loman],
Angelo Di Genio[Biff Loman],
Marco Bonadei [Happy Loman],
Federico Vanni [Charley],
Andrea Germani [Bernard],
Gabriele Calindri [Ben],
Alice Redini [La Donna/Letta],
Vincenzo Zampa [Howard Wagner/Stanley],
Vanessa Korn / Marta Pizzigallo (dal 17 novembre al 20 dicembre 2015) [Miss Forsythe/Jenny]