Un Leopardi poco frequentato sui banchi del liceo prende la parola sul palcoscenico, attraverso la voce di Corrado Augias. Misurato, elegante e aristocraticamente ironico, il giornalista ci rivela un ritratto del poeta di Recanati quasi sorprendente, attingendo alle lettere, ai saggi e allo Zibaldone che ne condensa il pensiero.
Tale è stata la preferenza scolastica accordata alla produzione poetica, da lasciare in ombra l’attività saggistica al punto che il “Discorso sopra lo stato presente dei costumi degli italiani” scritto nel 1824 a 26 anni, è stato pubblicato nel 1905 e lo Zibaldone, composto tra il 1817 e il 1832, dato alle stampe da una commissione di studiosi presieduta da Carducci, alla fine dell’ ‘800.
Augias, che da anni apprezziamo in televisione come conduttore sagace e raffinato di programmi di approfondimento in cui esponenti della cultura argomentano su tematiche di attualità, ha ideato e scritto questo lavoro che dal debutto al Festival dei due mondi di Spoleto nel 2011 continua a essere proposto in tutta la penisola, con la regia di Angelo Generali.
“Per molti anni Giacomo Leopardi è stato l’immenso poeta che tutti conosciamo. Solo in tempi più recenti si è apprezzata anche la sua attività saggistica che, secondo autorevoli giudizi, toccherebbe il livello di una vera organica filosofia – esordisce l’autore – e lo spettacolo getta una luce sul suo pensiero, in particolare la sua visione politica dell’Italia il cui giudizio varia col passare degli anni. Ma non c’è dubbio che negli anni giovanili si percepisce forte il lui un vivo amor di patria, ne sono esempio le due composizioni patriottiche ‘All’Italia’ e ‘Per il monumento di Dante’ ma altrettanto lucida è l’analisi verso il proprio popolo nel ‘Discorso sopra lo stato presente dei costumi degli italiani’ privo di norme, mentalità e usi che danno forma alla cultura di un popolo”.
La figura del giovane Giacomo, che ricordiamo gobbo e malato, prende corpo e man mano si erge gigantesca attraverso le riflessioni filosofiche e sociali espresse nella feroce critica ai costumi degli italiani incapaci di essere nazione e nelle asperrime parole con cui dipinge Roma definita “neghittosa” e i letterati accusati di non sapersi esprimere nella lingua latina. La capitale non gli piace, si annoia, ha parole di biasimo per la corte di papa Pio VII, perfino le donne sono ritrose e deludono le sue aspettative.
Lo spettacolo è stato pensato nel 2011 per i 150 anni dell’Unità d’Italia, incentrato inizialmente sul “Discorso” che consente di raffrontare la mancanza di sentimento patrio di allora con la mancanza del senso dello Stato di oggi.
Numerosi gli stralci delle lettere indirizzate al fratello Carlo, dalle quali emerge il Leopardi intimo, che si lascia andare a confidenze anche sulle posizioni contrarie alla religione cristiana.
Negli intermezzi, interloquisce con perspicace ironia sull’attualità politica il maestro Stefano Albarello, studioso di repertori musicali medievali che, accompagnandosi con la chitarra, canta stornelli e inni liturgici, medievali, risorgimentali, l’inno dei carcerati e quello nazionale di uno Stato prima dell’Unità.
Una serata all’insegna della commozione, iniziata con l’omaggio al sommo poeta romantico della voce di Arnoldo Foà che recita L’infinito, conclusasi con la consapevolezza di aver incontrato una mente geniale, capace, poco più che ventenne, di comporre versi di alta poesia sociale e di possedere una lungimirante visione storico-politica.