Non è la Bisbetica domata di William Shakespeare, ma il suo adattamento in chiave pop, secondo la definizione della regista Cristina Pezzoli.
Volendo evitare un’interpretazione femminista e nel contempo alleggerire la complessità della struttura scenica, la Pezzoli ha soppresso il prologo in cui l’ubriaco venditore ambulante Sly viene fatto assistere allo spettacolo di una compagnia di girovaghi su come addomesticare una bisbetica, mantenendo però il monologo finale di Caterina, repentinamente ammansita, sull’accettazione del dominio maschile, chiave di volta della vicenda.
La drammaturgia di Stefania Bertola ipotizza che una compagnia, rimasta priva del regista a causa di contrasti durante le prove, venga coordinata fino alla prova generale dalla prima attrice.
Il meccanismo metateatrale caratterizza, quindi, l’intera messinscena, come in una ripresa cinematografica in cui dopo ogni ciak gli attori si rilassano, chiacchierando e facendo battute estemporanee e considerazioni sfrenate su tutto, anche sulla storia che stanno recitando, finché il regista non dispone un nuovo ciak, e così via.
L’azione scenica si sviluppa secondo questo canone, in cui alle bizze dell’irriducibile Caterina che non intende assoggettarsi a prendere marito per compiacere il padre e consentire anche alla sorella minore Bianca di sposarsi, si interpongono le facezie e le battute condite di allusioni sboccate e doppi sensi fuori metafora, che gli attori si rivolgono scambievolmente, lanciando stilettate anche al Bardo e alla sua commedia troppo datata, tentando perfino, per celia, una interpretazione a soggetto piuttosto licenziosa, con qualche richiamo alla commedia dell’arte.
Alla fine Shakespeare rientra in scena con il suo testo e Caterina (per stanchezza? per intimo convincimento?) pronuncia il monologo in cui esalta la bellezza della devozione femminile al marito e signore.
Nancy Brilli è sempre sul palcoscenico, quando recita il ruolo dell’indomita Caterina e, in disparte, col copione in mano per dirigere i compagni nella veste del regista assente. Matteo Cremon è un Petruccio intemperante, che mena vanto dell’essere più giovane della matura bisbetica, apparendo più desideroso di agguantare una posizione sociale che il cuore della donna “è la musica dei soldi a far ballare uno come me”. Esuberanti tutti gli altri interpreti, anche negli intermezzi musicali.
Le scene di Giacomo Andrico costituite da parallelepipedi mobili marrone bruciato, variamente accostati creano pareti e arredi. I costumi di Nicoletta Ercole spaziano dalle minigonne ai sontuosi vestiti d’epoca. Le musiche originali sono di Alessandro Nidi che ha curato anche l’arrangiamento di alcune canzoni cantate dagli attori, del repertorio pop contemporaneo con incursioni rap e quelle estrapolate da “Kiss me Kate”, il musical di Cole Porter tratto dal testo shakespeariano.
Un’opera classica con una visione maschilista della società imperniata su un matrimonio combinato, con contorno di finzioni, ambizioni, avidità, zuffe, ardori, passioni. Alla fine, tutto viene riscattato dalla capacità di amare di Caterina.
Molto sono cambiati i costumi sociali da allora, tuttavia ancora oggi le donne sono disposte, per amore e liberamente, a mettere l’uomo al centro della vita.