tratto da “Ultimo giorno di un condannato a morte” di V. Hugo
regia di Davide Sacco
con Orazio Cerino
scenografia Luigi Sacco
costumi Clelia Bove
luci Francesco Barbera
Prodotto da Avampostoteatro e Gitiesse Artisti Riuniti
————
Un’interessante intuizione di Davide Sacco, regista dello spettacolo Condannato a morte – The punk version, tratto dal racconto di Victor Hugo “Ultimo giorno di un condannato a morte”, è quella di far interagire il pubblico attribuendo ad alcuni spettatori la funzione di giurati deliberanti la pena di morte. Significativa è la scelta di disporli attorno ad una struttura metallica che è tribunale ed insieme cella, “tomba per vivi” e di far pronunciare loro in prima battuta ed alla fine dopo aver intimato loro di infilarsi il copricapo di boia, il verdetto “condannato a morte”. Tale escamotage diventa significativo in relazione all’intento etico che lo spettacolo vuol testimoniare (è patrocinato da Amnesty International), in quanto lo spettatore stesso entra con un ruolo attivo nella narrazione di una vicenda emblematica le cui coordinate spazio-temporali sono messe in secondo piano, non dalla prospettiva di vittima, ma da quella di una carnefice legalità – lo Stato – che perdura tuttora nel nostro mondo globalizzato.
Victor Hugo in brevi capitoli racconta di un uomo per il quale è stata appena decisa la sua condanna a morte; il tempo della storia – circa sei settimane – è tutto quello che lo separa dal patibolo, un lasso temporale in cui i suoi pensieri si traducono in un vano scalpitare contro un destino aspramente decretato in un caldo e assolato giorno d’agosto, contro un potere oscuro ed incurante incarnato nei secondini, nel prete che accompagna il condannato al momento estremo, nell’usciere della corte di Parigi che fa le veci del procuratore generale e nel direttore del carcere, ed infine contro un indistricabile apparato burocratico in grado di prolungare la tortura dello scorrere del tempo, dopo che lo stesso Stato abbia in maniera definitiva deciso di sottrarlo alla vita. “Ultimo giorno di un condannato a morte” lasciando spazio alla profondità della disperazione che rende la mente del protagonista inquieta ed al contempo ottenebrata, si presta enormemente ad un monologo attraverso il quale sviscerare il turbinio emotivo di un uomo costretto alla pena capitale. L’attore Orazio Cerino che si muove in questa struttura metallica con luci accattivanti così come lo sono i suoi abiti, ritagliati sullo stile punk, ha in mano un microfono. L’intento di Davide Sacco – leggiamo dalle note di regia – è di trarre dal linguaggio la parte più convulsa e controversa dell’anima di Hugo rendendola una “partitura ritmica” che viene formalizzata in scena attraverso un tipo di aggressività ed uno spirito di protesta che fa del punk la cifra stilistica dell’allestimento e che influenza anche la recitazione, declinata fra il grottesco e l’eccessività espressiva.
Orazio Cerino recita ampie parti del testo di Hugo traendone riflessioni sostanzialmente critiche che pongono in antitesi lo Stato ed un concetto più ampio di giustizia, perché “la morte non cambia gli uomini”, specie se la morte stessa è “per il bene dello stato” per il quale si rendono vedove ed orfane madri, mogli e figlie. Omesso ogni confronto con la propria coscienza, la parola diviene l’unica arma, seppur vana, di ribellione nei confronti di un sistema che severo ed immutabile sovrasta il singolo, e traccia di chi, come lui, ha già subìto la stessa sorte ed ha lasciato impresse nella cella confuse scritte sul muro a testimonianza del proprio dolore; per questo motivo della parola è amplificato il suono in una narrazione in cui l’agire è soltanto il risultato di un inerte rito burocratico.
Senza dubbio il libello di Victor Hugo fornisce uno spunto essenziale e necessario per allestire uno spettacolo che punta – riuscendoci – direttamente ad un confronto col pubblico su una tematica così vasta e importante come la pena di morte, prediligendo un’immediatezza d’impressioni ed una nitidezza concettuale che consente facilmente il rimando ai nostri giorni in cui, al contrario di un tempo, è più accessibile una presa di coscienza e di posizione.