Cominciamo con il titolo. “Credoinunsolodio” è un atto di fede sull’esistenza di Dio che nelle varie epoche ed accezioni si è chiamato Giove, Dio, Allah, cioè divinità che rappresentavano l’ordine perfetto del mondo create dall’uomo per dare un senso alla vita ed esorcizzare l’idea della infinitezza della morte. Ma non c’è un unico Ente superiore, ogni civiltà ha il proprio Dio unico al quale credere ed affidare i propri destini. Le barbariche guerre agli infedeli si sono succedute nei secoli prima ancora delle Crociate fino ai nostri giorni che vedono l’avanzare impetuoso e impietoso del terrorismo islamico galvanizzato dalla debolezza del mondo cosiddetto cristiano votato all’agnosticismo e al materialismo. Questo è quello che mi suggerisce il titolo (una guerra di religione), ma le vicende raccontate nello sviluppo scenico mi pare che solo tangenzialmente tocchi il fondamentalismo di natura religiosa, quindi se il titolo mette l’accento non su dio, ma sull’odio allora mi scuso per il lungo sproloquio.
La storia è ambientata nel Medio Oriente dilaniato dalla questione ebraico-palestinese dove il fondamentalismo religioso se c’è, è di facciata. È una questione, come vogliamo chiamarla, di terra, patria, nazione che i palestinesi combattono per metter fine alla loro inesistenza, in un certo senso alla loro “diaspora morale”, da quando l’ONU nel 1947 ha approvato il piano di spartizione della Palestina riconoscendo de facto lo Stato di Israele. La popolazione ebraica della diaspora si insedia così nella terra “promessa” da cui era stata cacciata nel 70 d.c. E da allora una serie di guerre e intifade (l’ultima quella dei coltelli) hanno marcato quella terra martoriata e, fra speranze finora frustrate di un reciproco riconoscimento, si svolge la storia di tre donne.
Eden Golan, docente di storia ebraica le cui certezze vacillano di fronte alle tragiche esperienze vissute, anche se si vergogna delle sue esitazioni, Mina Wilkinson, soldatessa statunitense, membro delle forze di pace, alla quale mancano le basi culturali che le permettano di capire quella realtà che è chiamata a sorvegliare, Shirin Akhras, ventenne studentessa palestinese emotivamente coinvolta nella lotta contro le ingiustizie consumate dagli israeliani (non per fanatismo di stampo religioso) è pronta ad affrontare la parte iniziatica che la porterà con l’esplosione al martirio.
Sono tre storie diverse, tre identità di diversa fede e cultura, tre verità, tre solitudini in balia dei propri incubi.
La storia procede a ritroso, un conto alla rovescia con improvvisi capovolgimenti. Lo zoom si sposta da una all’atra in una serie di monologhi drammatici che si specchiano uno nell’altro, scoprendo abissi di differenze e lacerti di simmetria. Non c’è dialogo, ognuno parla dei propri ideali, della propria vita, matassa inestricabile di passioni, speranze, certezze, ripensamenti, paure. Tre mondi, tre spazi che coesistono e corrono paralleli fino ad incontrarsi nel momento del tragico epilogo dell’esplosione nel caffè Rishon-Lezion di Tel Aviv.
Stefano Massini non dà pagelle e giudizi. Si prefigge di «descrivere la complessità dell’oggi» e si chiede: chi ha torto, chi ha ragione?, da che parte stare? La sua scrittura drammaturgica si esprime con un linguaggio asciutto essenziale e con un ritmo scenico coinvolgente. Quando poi il cast è formato da tre grandi interpreti il successo è assicurato. Manuela Mandracchia, Sandra Toffolatti e Mariangeles Torres curano la messa in scena dell’opera e si fanno interpreti credibili di una drammaturgia difficile dal punto di vista della recitazione e della gestualità. Bravissime!
Non possiamo certo dimenticare l’apporto determinante di Mauro De Santis che ha disegnato lo spazio scenico “che come in un sogno fonda elementi realistici (sedie, tavoli, pavimento…) con la proiezione mentale di tutti gli altri ambienti popolati dai personaggi”. Funzionali le luci di Claudio De Pace, i costumi di color nero con alcuni elementi simbolici per aiutarne l’identificazione disegnate da Gianluca Sbicca. La musica curata da Francesco Santalucia è contemporanea, etnica, tradizionale, elettronica, in ogni caso bellissima. La coreografia in senso lato (movimenti) è curata da Marco Angelilli.