Da un progetto di Babilonia Teatri
Regia di Valeria Raimondi e Enrico Castellani
Parole di Enrico Castellani
Con: Chiara Bersani, Emiliano Brioschi, Alessio Piazza, Filippo Quezel, Emanuela Villagrossi
Musiche originali: Cabeki
Produzione: Teatro Stabile del Veneto – Emilia Romagna Teatro Fondazione
——–
La storia raccontata da Babilonia Teatri in David è morto racchiude nel suo insieme varie tematiche di cui oggi si sente spesso parlare con urgenza, soprattutto tra i più o meno giovani di un’ampia fascia di età, che va dall’adolescenza ai trent’anni: il conflitto generazionale – con molti genitori e colleghi di quella generazione a cavallo tra un sistema di valori, che qualche decennio fa poteva essere considerato incrollabile, e la sua messa in discussione, sotto vari aspetti, negli anni successivi; l’ansia di dover aderire ai vari stereotipi o modelli del vivere che ci circondano; il vuoto di vita – non sapere che cosa essere, che cosa fare…
La storia di David e della sua famiglia può far riflettere su questo e molto altro, grazie a un testo ben scritto, dotato dell’ironia tagliente, tipicamente Babilonia, che lascia spesso sfumare il confine tra risata e dramma.
Alcuni dubbi tecnici e stilistici.
Lo stile recitativo proposto da Babilonia Teatri ha sempre una marcia interessante, riuscendo a scavare un canale di comunicazione molto diretto con il pubblico. Questa cifra, che ha determinato il loro successo, è una scelta tecnica davvero efficace e di impatto, tuttavia rischia di risultare stancante, se si ferma a rimanere un come, senza essere declinata in un cosa. Tale qualità di declamazione porta probabilmente gli attori a confrontarsi con un’impegnativa sfida tecnica; ma è proprio questa modalità del dire, che rischia di aggiungere, a una sana urgenza, un sottofondo di aggressività perenne. Di tingere tutto lo spettacolo di un solo colore, facendo sfiorare alla composizione la dimensione del teatro sociale.
Pur mantenendosi coerenti allo stile Babilonia, sarà possibile dare altre sfumature emotive alla parola? Senza questa possibilità di declinare la scelta tecnica, temo si tenda non tanto a un dialogo con il pubblico, quanto a un monologo un po’ imposto, creando, per qualcuno degli spettatori, quello strano effetto dell’animatore di villaggio, che cerca di costringere i turisti al torneo di pallavolo.
Evitando quest’effetto, la comunicazione del messaggio poetico risulterebbe ancora più efficace.
La stessa cosa si può dire sull’uso della musica, strumento spesso emotivamente utile, ma leggermente abusato in termini di ricorrenza e volumi.