La programmazione voluta da Fabio Gravina, direttore artistico del Teatro Prati, è cadenzata da appuntamenti con l’umorismo ineffabile di autori italiani che rendono il piccolo salotto del quartiere Prati un punto di riferimento del teatro comico capitolino, in cui si ride molto sulle alterne vicende della vita e sull’ampio spettro delle umane debolezze.
Gravina incarna un ruolo ormai desueto nel panorama teatrale odierno, il capocomico, figura preminente nella Commedia dell’Arte. Con la sua Compagnia porta avanti tutto il repertorio della stagione, raccontando storie di ordinaria attualità, pur attingendo, talvolta, a testi d’antan. I vizi umani, d’altronde, sono immortali.
“I soldi non servono a niente” è scritta da Nino Marino, autore instancabile di commedie di successo e di romanzi e sceneggiatore cinematografico.
Nel salotto di una casa signorile, alla giovane ed elegante signora l’impettito maggiordomo annuncia una visita introducendo un uomo male in arnese, con un sacco nero di plastica come unico bagaglio. È il marito uscito dal carcere un anno prima della scadenza della pena, grazie all’indulto.
Incredulità, imbarazzo, sdegno sono i sentimenti che attraversano l’animo della donna, impreparata a questa evenienza che pregiudica i suoi sogni di piccola parvenu che ha effettuato la scalata sociale diventando amante dell’onorevole a causa del quale il marito ha subito l’ingiusta condanna. Stupito e, forse, rassegnato, l’uomo intuisce, soprattutto apprendendo che la figlia studia in Svizzera. Adesso, dopo aver scontato la condanna al posto del politico disonesto, che si era impegnato a provvedere al sostentamento della sua famiglia, vuole riappropriarsi del suo ruolo. La sua propensione al perdono però confligge con i progetti della moglie e dell’onorevole, giunto nel frattempo. Cosa fare? Bisogna che l’uomo commetta un piccolo reato e torni in galera il tempo necessario perché vengano portati a compimento i progetti avviati. Come finirà? L’animo umano è imprevedibile, si sublima o si inabissa. Nella gamma di sentimenti tutto è possibile, fra lo slalom di equivoci e paradossi.
L’arroganza del potere e il diabolico fascino del denaro segnano i nostri anni come unici parametri di successo e visibilità. L’autore però, non esclude un anelito di decoro e dignità contrapposti al cinismo imperante e alla paura di perdere la posizione economica e sociale conquistata.
Fabio Gravina, che cura anche la regia, tratteggia la figura del marito con toni dimessi ma inscalfibili, capace di reggere l’onda d’urto della disillusione pur di proteggere la famiglia: la sua sprovvedutezza fa ridere, la sua linearità fa tenerezza. La bellezza di Arianna Ninchi è inevitabilmente il lasciapassare che le fa ottenere ciò che vuole, ma non fa ombra alla sua capacità di adottare tutti i registri interpretativi: comica, disincantata, indispettita, preoccupata, pragmatica, dal portamento altero ed elegante nei costumi di scena che catturano l’attenzione. Nonostante per lei “pecunia non olet” chissà che in un barlume di resipiscenza non si convinca che i soldi non servono a niente?
L’onorevole disonesto ha le physique du rôle di Gianni Franco, rassicurante e assuefatto a manipolare i denari e le coscienze. Tito Manganelli è il compito maggiordomo, Matteo Micheli il bizzarro avvocato che dovrebbe fornire lumi per districare il groviglio.
Ci si diverte molto, con un pizzico di malinconia, per le battute e le situazioni, con colpi di scena e fraintendimenti che trasformano la vittima in colpevole e viceversa. Una serata all’insegna del garbato buonumore.