Con un giro di posta, che fa varie volte il giro del mondo, “La lettera” di Paolo Nani e Nullo Facchini torna ai Filodrammatici di Milano. Che dire (di nuovo) su uno spettacolo che dal 1992 ha qualcosa come un migliaio di repliche sparse per l’intero globo terracqueo?!
Un meccanismo affinato nel tempo e in continuo perfezionamento, spiega Nani, dove atti, oggetti e cartelli sono lo strumento del clownattore.
Oggettivamente, senza Nani lo spettacolo – per una volta – non potrebbe continuare. Nani, una maschera in continuo mutamento, sa calibrare il ritmo dello spettacolo sul pubblico in sala e, con la sua pantomima, rendere le parole non necessarie.
La scena è minimale e così la trama. Un uomo impegnato a redigere una lettera scopre che la penna non contiene inchiostro. Non ha scritto assolutamente nulla, niente, nisba.
La stessa circostanza viene reiterata fisicamente in modi diversi. Ecco dunque un ubriaco, un pigro, un redivivo Bela Lugosi, un uomo che fa due azioni contemporaneamente o che si sorprende in continuazione – solo per citare qualche esempio – affrontare la medesima situazione.
Il testo “Esercizi di stile” di Raymond Queneau (liberamente ispirato) si sofferma – come tutti sanno – sulle potenzialità poliedriche della parola e della prosa nel raccontare il medesimo fatto.
Ne “La lettera” invece non viene pronunziata alcuna parola, vi sono smorfie, imprecazioni grammelot, gorgheggi, qualche accenno lirico e scaracchi. Gli atti e le espressioni facciali sono la vera lingua di Nani che (preciso, quasi metallurgico in scena) comunica senza importarsi troppo di comprendere e di farsi comprendere.
(Il tema della scena viene indicato da un cartello come nel cinema muto.)
Come dicevo all’inizio, non scrivo niente che non sia già stato detto su uno spettacolo (comparso per la prima volta nel 1992) su cui si è già dissertato a lungo.
Se rileggo le recensioni precedenti (naturalmente non tutte e 900) noto che però praticamente in tutte c’è un punto di intersezione: si ride.
Devo concordare, il pubblico in sala si sganascia, letteralmente, dalle risate. Non v’è un momento di pausa. Ogni atto, sguardo o movimento della mano (no, non sto esagerando) viene sottolineato dalle risa del pubblico. Ora, chiaramente la pièce è comica, piacevolmente comica, ma non a tal punto da ridere in quel modo per un’ora e venti.
Credo che niente al mondo possa far ridere (in quel modo) per un’ora e venti; ma forse non ho le competenze (come il resto del pubblico in sala) atte a comprendere ogni frammento del teatro fisico. Dopotutto, “Esercizi di stile” insegna che la medesima scena può essere descritta vista e interpretata in molteplici modi, perciò, non abbiatemene se continuo a ripensare a quel tale che disse “Ridere è importante, ma ridere di tutto è disperante”.
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Ispirato al testo “Esercizi di stile” di Raymond Queneau
Regia di Nullo Facchini
con Paolo Nani