La commedia-grottesca pirandelliana torna al Teatro della Pergola, con quella che lo stesso autore definiva come “una delle più feroci satire contro l’umanità e i suoi astratti valori”.
Con la direzione di Giuseppe Dipasquale, la compagnia “Gitiesse Artisti Riuniti” capeggiata magistralmente dal trio Gleijeses, Messeri, Bargilli porta in scena “L’Uomo, la Bestia e la Virtù”, proponendo un apologo straordinario dove “tutti i personaggi sembrano farsi guidare da un meccanismo artificiale, vivendo un’esistenza di marionette, dove ognuno porterà in faccia la sua maschera: la maschera così cara a Pirandello” (Geppy Gleijeses).
Commedia molto attuale, che critica fortemente l’ipocrisia e il perbenismo, non solo borghese, ma di tutti i vari ambienti sociali.
L’Uomo, il professor Paolino (Geppy Geijeses), tenterà in tutti i modi di far compiere alla Bestia, il Capitano Perella (Marco Messeri), il suo dovere di marito, per rendere alla signora Perella (Marianella Bargilli), la modestia e la pudicizia fatte persona, quella Virtù che lui stesso sembra averle privato quando mettendola incinta. Si mostra fin dall’inizio la bestia che è insita nell’essere umano, distruggendo la maschera dell’amore, della fedeltà, della virtù, rivelando l’essenza utilitaristica ed opportunista dell’uomo.
Il farsesco tema trattato è ben sintetizzato dalla parola chiave “commediante” la cui traduzione greca “upocritès”, rimanda al concetto che l’attore in realtà sia un’ipocrita; ma in una persona che finge per dovere non si può cercare qualcosa di male, mentre lo si trova in chi lo fa per gusto, per malvagità, per tornaconto, sottolineando come proprio le persone più serie e rispettabili in realtà recitino con falsità ed ipocrisia (“in corpo fiele, in bocca miele”).
Oltre ai tre protagonisti principali vi sono diversi personaggi minori che contribuiscono a rivestire di comicità la rappresentazione, vestiti e truccati in maniera tale da indicare l’equivalente animalesco: la governante del professore assume quasi l’aspetto di una gallina, il farmacista è una volpe, Nonò, il figlio dei Perella, richiama l’aspetto di un gatto, e il capitano Perella viene raffigurato come un enorme cinghiale. Tutto questo, inclusa una recitazione fatta di sbalzi, di equivoci, sobbalzi, aggressioni esilaranti, contribuisce a dare alla commedia un sapore grottesco, confermando quel tipico umorismo pirandelliano, che nasconde sempre una nota di fondo amara; lo spettatore è trasportato in un mondo in cui può ridere e commuoversi anche a distanza di poche battute l’una dall’altra.
L’uomo, la bestia e la virtù alla fine trionfano tutte e tre insieme, appoggiandosi, sostenendosi, e quasi integrandosi tra loro in perfetto equilibrio; tutti i personaggi appaiono, in fondo, sotto una luce negativa, che forse, come afferma Gleijeses “anche da questo derivano la comicità e l’umorismo. Del resto, i personaggi troppo positivi alla fine non fanno ridere”.