Nel 2008, Alexi Kaye Campbell, drammaturgo americano, pubblica “The Pride”, un testo provocatorio dai dialoghi brillanti, che si aggiudica due dei maggiori premi inglesi per il teatro: il Laurence Olivier Awards ed il Critics’ Circe Theatre Award (come autore più promettente).
Nel 2015, Luca Zingaretti porta coraggiosamente in scena per la prima volta in Italia questo spettacolo, dove egli è regista e protagonista assieme a Maurizio Lombardi, Valeria Milillo e Alex Cendron.
Un testo enigmatico, quello di Campbell, costruito come un puzzle, un intreccio alternato di vicende ambientate in due periodi storici completamente diversi, ma che si costruiscono su echi e rimandi l’una dell’altra: entrambe le storie sono ambientate a Londra, ma mentre una si svolge nel 1958, in un clima repressivo e pieno di pregiudizi, la seconda vive ai giorni nostri, in un presente più liberale (lo si nota anche nella differenza di gergo) e più aperto. I tre personaggi principali hanno lo stesso nome in entrambe le narrazioni, ma l’epoca in cui vivono darà alle loro vite esiti molto diversi. Le vicissitudini del 1958 trovano, in quelle del 2015, la comprensione di cosa e perché è accaduto, come se lo spettatore ottenesse una coscienza futura capace di rispondere con la libertà, l’amore e l’ascolto alla solitudine scura ed opprimente di una vita mascherata.
“The Pride” è l’orgoglio, quel sentimento ambivalente che riempie l’essere umano di fiera soddisfazione o che lo rende prigioniero di una barriera impenetrabile: l’orgoglio che porta ad avere paura e rifiuto dei propri sentimenti, l’orgoglio che riempie di vergogna e disgusto, l’orgoglio che porta a vedere la diversità come una deviazione, come un nemico pernicioso, ma anche quell’orgoglio che mostra fierezza in ciò in cui si crede, nell’amore che proviamo, per chiunque lo proviamo, che trasforma la vita in libertà e sincerità.
Non è uno spettacolo sull’omosessualità nel senso lato del termine (argomento difficile e tematica “delicata”, circondata tuttora da numerosi pregiudizi), ma una storia che tocca intimamente ogni singolo spettatore; l’interrogativo principale si pone, infatti, sull’uomo stesso, sulla sua vita, sulla sua identità e le scelte che influenzano inevitabilmente il destino: spettatori ed attori affrontano lo stesso dilemma, ovvero la necessità di comprendere se abbiamo raggiunto gli obiettivi che ci eravamo promessi, cosa stiamo facendo per raggiungerli o se li abbiamo smarriti lungo la strada, per pigrizia, paura, mancanza di coraggio.
Luca Zingaretti, a proposito della scelta di questa pièce, ha dichiarato: “Mi attirava così tanto perché parla dell’identità, del coraggio di scoprire chi si è, di prenderne atto ed agire di conseguenza. Pochi di noi vivono la vita che si sono scelti. È quando vivi accettando il mondo com’è e ti dimentichi di chiederti: ma questo sono io, è la vita che gratifica il mio io più profondo, mi sono raggiunto in questa esistenza? Ho avuto il coraggio di prendere in mano il timone della mia esistenza o mi sono lasciato trasportare dalla corrente?” Ed è bello e consolante vedere che in queste due storie, come spesso accade nella vita, la risposta è l’amore, il vero sentimento che ci rende essere umani, perché non importa chi sia la persona che desideri: essere innamorati non è sbagliato, ma rende tutto più sincero, puro, più bello, più vivo.