due atti unici di Eduardo De Filippo
regia di Francesco Saponaro
con Tony Laudadio, Luciano Saltarelli, Giampiero Schiano
scene e costumi Lino Fiorito
luci Cesare Accetta
suono Daghi Rondanini
assistente alla regia Giovanni Merano
assistente ai costumi Francesca Apostolico
direzione tecnica Lello Becchimanzi
produzione Teatri Uniti/ Napoli Teatro Festival Italia in collaborazione con l’Università della Calabria
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L’allestimento firmato da Francesco Saponaro di “Dolore sotto chiave” e “Pericolosamente”, due atti unici di Eduardo De Filippo scritti rispettivamente nel 1958 e nel 1938, ritorna a Napoli e precisamente al Piccolo Bellini il cui palcoscenico per sua naturale vocazione ci lascia una percezione differente rispetto a quella con la quale siamo abituati ad assistere alle commedie eduardiane.
Conditi da un evidente e frizzante surrealismo e da una natura farsesca, i due testi non prescindono dalla notissima influenza pirandelliana che permea la matura drammaturgia di Eduardo; ed infatti la prima rappresentazione di Dolore sotto chiave (1964) si ebbe con la messa in scena del Berretto a sonagli. Saponaro mette in luce il connubio con l’autore siciliano, dotando l’atto unico di una particolare introduzione ovvero una riscrittura in dialetto napoletano della prima parte della novella dello stesso Pirandello, I pensionati della memoria. Tale incipit assolve ad un effetto – quello della teatralizzazione della morte – coerente con la vicenda dei fratelli Capasso, mediante la lingua e la sua carica espressiva il cui suono in rima conferisce una drammatizzazione che quasi rammenta ‘A livella di Totò.
Spinto dalla natura cinica e farsesca delle due vicende, Saponaro ne accentua la forte teatralizzazione mettendo in scena tre uomini tra i quali Luciano Saltarelli nel doppio ruolo di Lucia Capasso e Dorotea, innestando un attento equilibrio fra quello che è lo stile tipicamente eduardiano dei dialoghi e dei personaggi e quello completamente visionario e grottesco, quindi irreale. Cosicché lo schema meramente concettuale della scena di Lino Fiorito, le porte a forma di bare, simboliche allusioni chiaramente parossistiche come la storia dei Capasso, che diventano pannelli bianchi in Pericolosamente in uno spazio assolutamente vuoto e scevro di ogni riferimento al tradizionale interno piccolo-borghese, le variazioni di luci, la musica di Bang Bang di Dalida, beffardo intro alla seconda vicenda, la Dorotea di Saltarelli in una rivisitazione quasi ruccelliana da un punto di vista espressivo e meramente visivo, rimandano allo spettatore un doppio paradosso nel quale tutti i sentimenti e rapporti sono invero il loro stesso contrario.
In Dolore sotto chiave l’attenzione è posta sul “sottotesto” della condizione esistenziale di Lucia Capasso (acuite sulla scena dal ruolo en travesti di Saltarelli) che, con una compassata ed acritica adesione alla morale cristiana, vive di riflesso dell’amore fra il fratello e la moglie per i quali cela sentimenti di rancore a causa dei complessi d’inferiorità che la inchiodano ad una stupida credulità, quasi autistica; una credulità tanto stupida da nascondere la morte della consorte al fratello per mesi e mesi, relegandolo al senso di colpa dell’adulterio e della tentazione di voler vedere morire la moglie che crede in stato vegetativo. Un aggroviglio di impulsi e di sentimenti sottende alla brevissima pièce in cui nella grottesca teatralizzazione del culto della morte emerge tutto il cinismo eduardiano.
Il filo che ci conduce a Pericolosamente è in realtà un oggetto, la rivoltella, evocata nel primo e sfoggiata nel secondo testo come escamotage di Arturo (Tony Laudadio) per “disciplinare” la moglie bisbetica secondo un surreale confronto tra coniugi in cui gli sbalzi umorali sono il punto di forza dell’esilarante recitazione dei tre attori.
Tony Laudadio conserva nel primo ruolo tratti e posture eduardiane equilibrandosi a pieno con la natura grottesca e buffa della Lucia di Saltarelli e la comicità cinica e paradossale di Giampiero Schiano nei panni del vicino di casa, poi amico tornato dall’America nel secondo atto unico. Il trio dà ad entrambi gli atti una grande briosità aderendo ad una regia essenziale che cerca nella lingua della tradizione e in questi personaggi minori nascosti nell’opera omnia eduardiana, quel potenziale visionario che faccia guadagnare loro un intero palcoscenico.