Enrico Guarneri straripa con la sua incoercibile mimica e la parlata catanese, in alcuni passaggi volutamente accentuata per dar modo al suo interlocutore sulla scena di effettuare la traduzione simultanea in italiano, tra le risate generali.
Il Paraninfo è l’opera dell’eclettico scrittore Luigi Capuana più rappresentata a teatro, un classico della letteratura siciliana che racconta una vicenda verosimile in uno stile brillante e parodistico. Don Pasquale Minnedda è un maresciallo della Guardia di Finanza in congedo che si prefigge di far accasare le persone, intento che persegue come una missione, nella Sicilia di inizio Novecento. Si prodiga moltissimo, amplificando qualità e virtù dei nubendi, traendo gioia personale quando il progetto va a buon fine. Non sempre, però, le parti gli sono riconoscenti per la mediazione svolta, per l’infelice riuscita del connubio. Don Pasquale, indomito, continua a combinare matrimoni, difendendo il suo appellativo di “paraninfo”, etimologicamente colui che accompagna lo sposo, in senso traslato il mezzano che combina matrimoni.
Quando giungono in paese un professore e un tenente piemontese suo amico, don Pasquale pensa di accasarli con le sorelle Matamè, brutte oltre ogni dire ma molto ricche, delle quali tesse le lodi descrivendone il patrimonio. Decide, così, di condurre i due a far visita alle sorelle, alle quali ha preventivamente annunciato l’arrivo di due ispettori che dovranno valutare i danni provocati dal recente terremoto di Messina del 1908. Le due donne, con la speranza di ricavare il massimo risarcimento, li accolgono in una catapecchia, aggiungendo alla bruttezza un abbigliamento di miseri stracci. La visione è apocalittica per i due malcapitati aspiranti sposi, con grande ilarità del pubblico per la grottesca accoppiata delle sorelle, una alta e grossa l’altra minuta, in abiti neri e sacchi di iuta, acconciature scarmigliate e tratti somatici befaneschi. Inevitabilmente i due pretendenti fuggono raccapricciati inveendo contro il maldestro paraninfo che, tornato a casa con le pive nel sacco, riceve la visita dei padrini inviati dal tenente che lo sfida a duello per la beffa che gli ha giocato.
Don Pasquale non ha vie d’uscita e si vede morto, ma il finale è consolatorio. Smascherata la burla, arrivano le sorelle vestite da vere dame, non volendo perdere l’occasione di maritarsi.
La vicenda è datata, scritta un secolo fa rappresenta uno spaccato della società dell’epoca, ma l’impostazione sottilmente parodistica, la recitazione brillante, le caratterizzazioni perfino grottesche e l’abbondante uso di espressioni dialettali e gergali, danno alla rappresentazione una connotazione regionale di sapore quasi atemporale.
Il siciliano è una lingua che veicola bene pregiudizi e inibizioni, pudori e sfrontatezze, in alcuni passaggi è forse un po’ ostico ma la repentina ripetizione della parola in italiano accompagnata dalla gestualità, sottolinea gli aspetti parodistici e caricaturali di tutti i personaggi: borghesi, ricchi possidenti, intellettuali, la moglie ansiosa e perfino la sprovveduta servetta.
Guarneri è uno spasso, calibra battute e tempi, erede ancora una volta della forza comica di Angelo Musco, interprete di questo ruolo nel 1934. Antonello Capodici ha modernizzato l’allestimento ideando scenografie mobili e proiezioni video realizzate come foto d’epoca.
Uno sprazzo di verismo burlesco servito con ironia e leggerezza da tutti gli interpreti: Ileana Rigano, Rossana Bonafede, Federica Bisegna, Rosario Marco Amato, Vincenzo Volo, Filippo Brazzaventre, Pietro Barbaro, Nadia De Luca, Ciccio Abela, Amalia Contarini.