L’Orestea, ultima opera di Eschilo rappresentata ad Atene prima della sua morte, segna la nascita della concezione del diritto che persegue la giustizia (dike) superando il principio arcaico della vendetta, soprattutto in ambito familiare. La trilogia fece vincere a Eschilo le Grandi Dionisie nel 458 a.C., ed è l’unica del teatro classico sopravvissuta per intero: Agamennone, Le Coefore, Le Eumenidi, che raccontano un’unica vicenda, ma non rispettano l’unità aristotelica di luogo, tempo, azione.
Le origini affondano nel mito, del quale si trovano cenni anche nell’Odissea. Tornato ad Argo dalla guerra di Troia, Agamennone viene assassinato dalla moglie Clitennestra con l’aiuto del cugino-amante Egisto, per vendicare la figlia Ifigenia sacrificata dal padre per propiziarsi il favore dei venti nella navigazione verso Troia. Nelle Coefore (portatrici di libagioni per i defunti), Oreste torna dieci anni dopo ad Argo su suggerimento di Apollo, per vendicare il sangue paterno uccidendo la madre e il suo amante che ha usurpato il trono. Nella terza tragedia, Oreste perseguitato dalle Erinni dee della vendetta, si appella al giudizio del Tribunale dell’Aeropago. Il processo, in cui Apollo funge da difensore e Atena presiede la giuria, si conclude con l’assoluzione di Oreste, favorito dal voto della dea, non generata da donna.
In quest’opera universale e moderna, dall’arcaica legge del taglione di Clitennestra si approda alle regole condivise secondo le quali la colpa si estingue espiando la giusta pena.
Il regista Luca De Fusco porta in scena il testo classico, che definisce “politico”, impostato come uno scavo archeologico reale e allegorico, con i personaggi del prologo e del coro negli stasimi che sbucano dalle viscere abissali delle nere terre laviche che hanno seppellito statue e colonne.
Scrive De Fusco negli appunti di regia: “Orestea nasce nel nero e nella terra, in una dimensione che sembra irrimediabilmente lontana, per terminare nel chiarore dei video in una dimensione contemporanea. Mi pare di aver rispettato i nodi salienti della tragedia: intreccio di prosa e musica, natura intrinsecamente danzata e cantata degli stasimi, assenza di azioni di violenza sulla scena. Le musiche di Ran Bagno mescolano classicità e musica elettronica, oriente e occidente, le danze di Noa Wertheim sono di marca strettamente contemporanea, la recitazione è antiretorica e asciutta. Ogni messa in scena non può non portare i segni del suo tempo: le immagini delle statue distrutte e il pensiero d’un terribile focolaio di Erinni di fronte alle nostre coste non può non essere entrato nello spettacolo. Durante l’allestimento è arrivata la notizia della morte di Kaled Assad, capo archeologico di Palmira. Insieme alla traduttrice Monica Centanni dedichiamo alla sua memoria questo lavoro, per aver tentato invano di far ragionare le Erinni moderne”.
Da un passato tragico a un presente inquietante, recitazione, musica e danza si legano come nelle antiche rappresentazioni, con il coro e la danza contemporanea della compagnia Körper e il forte impatto delle immagini video da studio televisivo durante il processo e la messa ai voti della sentenza.
La lunga maratona teatrale (durata 4 ore) è prodotta dal Teatro Stabile di Napoli in collaborazione con il Teatro Stabile di Catania. La scenografia di Maurizio Balò pone la grande porta metallica della reggia sul fondo, trasformata nel finale in schermo per le proiezioni. Zaira de Vincentiis ha ideato costumi che si uniformano al grigio ferro delle scene, tuttavia sontuosi ed evocativi come quello della regina e delle Erinni; unica nota di colore l’abito fantascientifico di Atena dal dorato sfavillio. Le luci di Gigi Saccomandi lanciano bagliori colorati di rosso fuoco sulle spade e sui veli delle danzatrici, fasci di fredda luce bianca sui personaggi che emergono dal buio.
Elisabetta Pozzi è intensa e misurata nella foga vendicatrice, dalla querula voce quando il suo fantasma vaga nell’oltretomba. Mariano Rigillo è un maestoso Agamennone, imponente e regale nelle vesti di soldato. Gaia Aprea incarna la fragile Cassandra e la luminosa Atena, Giacinto Palmarini è il titubante Oreste, Federica Sandrini è l’accorata Elettra, Anna Teresa Rossini è la magnifica Pizia, Paolo Serra il determinato Egisto, Angela Pagano è la prima dolente corifea.