di GAETANO DONIZETTI
Opera in tre atti, libretto di Salvatore Cammarano, tratto dal romanzo “The Bride of Lammermoor” di Walter Scott
(primo cast 11 dicembre 2015, secondo cast 12 dicembre 2015)
Un’originale scenografia moderna per un dramma d’amore e di follia. Brillano le voci tenorili.
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Lucia è prigioniera e vittima del potere familiare e può liberarsene solo morendo. Per questo il regista Damiano Michieletto ha ideato una torre di cristallo di quattro piani con montanti in alluminio e finestre in parte rotte, attraversata in diagonale da una forte luce bianca, con un groviglio di scale interne che salgono fino in cima, pareti interne a specchio e trasparenti dall’esterno. È una struttura imponente ma non pesante che ha una sua precarietà: è pendente e fragile, quindi insicura, come l’equilibrio di Lucia. È bella ed elegante, ma fredda e distaccata, come i sentimenti che dominano quella famiglia.
Tutto si svolge dentro e ai piedi della torre, che s’illumina, si colora, si spegne, lampeggia, accoglie gli sfoghi degli amanti che si sporgono pericolosamente dalle finestre, raddoppia negli specchi la figura traballante di Lucia che scende le scale dopo il misfatto con l’abito non sporco di sangue, perché uccide lo sposino con la pistola (si sente uno sparo che fa sobbalzare e scendono coriandoli dorati), ospita le masse coi costumi fortemente colorati, disposte su tutti i piani, creando un impatto visivo vivace e suggestivo. Ma la cosa più spettacolare è il suicidio di Lucia, che si getta dal quarto piano dopo aver camminato su un trampolino che sporgeva nel vuoto. Se non avessi saputo prima che si trattava di una controfigura di mestiere, mi sarei sentita male.
Purtroppo una stupidaggine Michieletto l’ha fatta: ha messo un secchio pieno d’acqua che sprigiona luce rossa al posto della fonte del parco del castello. Vedere Lucia fantasticare sopra il secchio faceva un po’ ridere.
Un’altra cosa discutibile: alla fine due operai scavano una fossa poi bevono, dal buio compare un corteo nero con una bara bianca, che viene messa a terra. Ma non c’erano già le tombe degli avi?
Nota ricorrente: un fantasma donna vestita di bianco con rosa rossa dallo stelo pungente si aggira muta e distaccata, una presenza inquietante che infilza la rosa per terra, lancia i petali addosso alla sposa e li sparge su Edgardo morente.
Funzionale la disposizione delle masse.
La scenografia è stata realizzata da Paolo Fantin.
I coristi, alias le guardie del castello in perlustrazione, entrano in abiti militari ed elmetto coi cani e con le torce tra la nebbia, Lucia e l’ancella indossano bei vestiti lunghi di broccato colorato e gli uomini lunghi pastrani, gl’invitati alle nozze creano sfavillanti quadretti cromatici con i loro fantastici abiti da cerimonia.
La costumista Carla Teti ha gusto e fantasia.
Bellissime e ben fatte le luci di Martin Gebhardt, che usa tinte sia forti che sfumate.
Ho ascoltato entrambi i cast.
Juan Diego Florez
Nel primo cast brilla Juan Diego Florez nel ruolo di Edgardo, il tenore presenta una linea di canto molto pulita e modula la voce a fini interpretativi (“Sulla tomba che rinserra”), nell’invettiva con acuto stratosferico contro la traditrice (“Hai tradito”) è il vero eroe romantico capace di grandi slanci, ma mantiene sempre intatte le caratteristiche dell’autentico principe del belcanto in grado di snocciolare fioriture e puntature acute oltre ogni limite. Perfetto in ogni dinamica, in ogni registro e in ogni espressione (“Tombe degli avi miei”), Florez chiude l’opera con un’aria di grandissimo effetto uditivo ed emotivo “Tu che a Dio spiegasti l’ali”, col canto tutto sul registro acuto, ottenendo un grande unanime consenso. Credo sia l’unica opera intitolata ad una donna che finisce con l’aria del tenore.
Ismael Jordi
Nel secondo cast c’è Ismael Jordi, un bravo tenore dalla voce corposa e maschia come la sua fisicità, la proiezione del suono è sicura e gli acuti sono solidi. L’accento eroico arricchisce l’alternarsi di morbidezze e irruenze vocali (“Sulla tomba che rinserra”), nel duetto con Lucia il tenore è sensuale e appassionato, tiene una linea morbida nel canto a mezza voce e ha un modo accattivante di porgere. Grande nell’invettiva contro Lucia (“Hai tradito”), Jordi presenta voce magnifica e recitazione di grande presa. Bravo interprete e bravo attore, ha buona dizione, canta bene ed è anche bello.
Juan Diego Florez e Elena Mosuc
Lucia nel primo cast è Elena Mosuc un soprano che usa bene una voce di medio spessore e ondulante nelle note acutissime, agile nella coloratura anche se il canto sgorga in modo poco fluido (“Quando rapita in estasi”), morbida negli attacchi e nelle mezze voci (duetto con Edgardo “Verranno a te sull’aure”), impercettibile in zona medio grave nel duetto col fratello. Brava nella scena della follia, cantata con più voce, precisi i picchiettati, i filati, gli acuti e la lucidità delle note nella cadenza con il flauto.
María José Moreno
María José Moreno (Lucia nel secondo cast) ha voce flebile in basso che si rimpolpa nelle progressioni acute con bellissimi filati rinforzati e acuti sonori (“Regnava nel silenzio” con la voce calda del clarino), i centri hanno poco spessore (“Quando rapita in estasi”), ma una linea di canto dolcissima, una voce ferma e una giusta emissione (“Verranno a te sull’aure”) la rendono gradevole interprete. La voce è piccola nel canto spianato e narrativo, ma s’illumina negli acuti che sono solidi, limpidi e sostenuti. Nella scena della follia si crea un’atmosfera di grande emozione, soprattutto per la facilità del soprano ad esplorare la zona acuta e ad eseguire i picchiettati.
Nel ruolo di Enrico Marco Caria (primo cast) usa bene una buona voce di baritono, ampia e corposa, appoggia bene, sostiene i suoni e tiene gli acuti (“Cruda, funesta smania”), Giorgio Caoduro (secondo cast) esordisce in modo irruento, andando sopra le righe anche nell’intonazione (“Cruda, funesta smania”), canta a squarciagola col fiato la cavatina, crescendo e tenendo i fiati troppo lunghi per strappare l’applauso, ha la giusta voce del cattivo e così l’atteggiamento, ma stona l’acuto nel duetto con Lucia; quando canta in modo morbido va bene, altrimenti va fuori.
Come Raimondo Simón Orfila (primo cast) porge bene, sa ammorbidire ed espandere una bella voce di basso, ampia e non sempre ferma.
Marko Mimica (secondo cast) è un giovanotto biondo con un bel timbro di basso e colore maestoso, la voce è calda e di valore nella zona media e nel passaggio, ampia e sempre morbida, usata in maschera con suoni corposi e rotondi e con una magnifica apertura del suono verso la tessitura acuta. Il cantante deve acquisire maggior confidenza con il palcoscenico.
Per Arturo una voce tenorile chiara ben proiettata, con suoni ben sostenuti, quella del tenore leggero acuto Albert Casals e per Normano il tenore Jorge Rodríguez Norton.
Il mezzosoprano Sandra Ferrández (Alisa) ha voce corretta e di poco spessore, canta bene ma talvolta è coperta dall’orchestra.
Il fantasma è una figurante che cammina a passi lenti e misurati, quella del primo cast è sicuramente una ballerina visto come posizionava il piede (con la punta spinta verso l’esterno), quella del secondo cast no e in più aveva le scarpe lunghe per il suo piede.
L’Orquestra Simfònica del Gran Teatre del Liceu, diretta da Marco Armiliato è garbata con qualche esuberanza, densa e trasparente nella scena della follia, tocco melodioso dell’arpa nella presentazione della ridicola fontana.
Quasi costante la presenza del Coro del Gran Teatre del Liceu, preparato da Conxita Garcia, compatto e immobile o a gruppi, l’amalgama sonoro è morbido, ha tante voci maschili che restituisco la pienezza del suono.
Produzione Opernhaus Zürich.