Quando va in scena un testo di Éric-Emmanuel Schmitt vale sempre la pena assistervi, rinnovando il piacere di assaporare la profondità e la bellezza della sua scrittura. I racconti di Schmitt, uno dei maggiori scrittori e drammaturghi contemporanei, sono autentiche sceneggiature teatrali, in cui l’autore indaga e sviscera i recessi della psiche con un percorso analitico scevro di luoghi comuni e un impianto narrativo emotivamente coinvolgente.
Piccoli crimini coniugali, scritto nel 2003, è un gioiello di analisi psicologica delle dinamiche esistenziali di coppia, con risvolti noir e qualche guizzo di teatro dell’assurdo.
Gilles torna a casa dopo un ricovero ospedaliero per la perdita di memoria causata da un incidente domestico. Non riconosce la moglie, non ricorda nulla della vita passata. Lisa tenta di aiutarlo a far affiorare i ricordi, raccontandogli aneddoti, fornendogli appigli per aggiungere tasselli, come in un lungo domino. Ma qualcosa non convince, c’è molto non detto, o detto diversamente. Le reminescenze che la donna vorrebbe risvegliare sembrano pilotate, non reali. Lei è la moglie, o un’infermiera? Se è la moglie, ha veramente a cuore la ricostruzione del loro passato coniugale? L’uomo ha davvero sofferto di amnesia dopo l’infortunio? Oppure si serve della smemoratezza come grimaldello per esplorare le reali intenzioni della donna?
L’intreccio e lo sviluppo di questo rapporto è paradigma delle difficoltà che attraversano le relazioni coniugali incanalate sui binari della monotona quotidianità. L’amnesia consente di uscire fuori dai ruoli precostituiti ed esternare le verità represse rimaste avviluppate dalla ragnatela di bugie, creando i presupposti per un capovolgimento di ottica.
Schmitt conduce per mano i due protagonisti in un dialogo serrato, giocato sulla forza delle argomentazioni che scarnificano i sentimenti, i bisogni, le frustrazioni, i rancori, le dipendenze, i sospetti, i vizi, le malvagità, condensate sotto la categoria linguistica “amore”.
Un thriller domestico, sintetizzato nella battuta “Quando vediamo un uomo e una donna davanti al sindaco o al prete, dobbiamo veramente chiederci: quale dei due sarà l’assassino?”.
Poiché la verità non è ciò che sembra, qual è la verità? La suspense aumenta a ogni scontro, le domande troveranno risposte man mano che ciascuno dei coniugi prosegue nella propria discesa agli inferi: “Io sono la tua impronta, tu sei la mia, nessuno dei due può esistere separatamente dall’altro”. Molte coppie si possono riconoscere in questa introspezione, molte hanno sperimentato l’amore esclusivo e distruttivo che Gilles compendia così: “La coppia giovane è una coppia che cerca di sbarazzarsi degli altri. La coppia vecchia è una coppia dove ognuno cerca di sopprimere il partner”. Gilles, autore di libri gialli, nel suo piccolo capolavoro “Piccoli crimini coniugali” che Lisa ha fortemente disapprovato, ha raccolto questi e altri aforismi sul matrimonio. Con una macchina narrativa di perfetto incastro metateatrale, Schmitt, quindi, attribuisce al suo protagonista la sua identità e la sua produzione letteraria.
Questo dissacrante e realistico racconto dell’amore coniugale si concluderà con la ricerca di una nuova identità di coppia o con la regressione a canoni già sperimentati? Con l’abbandono o con l’eliminazione fisica?
Le dimensioni minuscole del teatro rendono molto intima l’ambientazione domestica, che la regia di Antonella Maddonni rende un po’ di maniera. Il crescendo psicologico nell’incalzare dei dialoghi e lo strazio profondo e sommesso si smorzano nella recitazione priva di chiaroscuri e dai toni troppo alti di Monica Lugini e Alessandro Demontis.