Uscito dall’elegante, raffinata e introspettiva penna di Henry James (New York 1843 – Londra 1916), prolifico scrittore e critico letterario, Ritratto di signora (The portrait of a lady il titolo originario), scritto a Venezia e pubblicato a puntate tra il 1880 e il 1881, è considerato il suo capolavoro oltreché un classico della letteratura inglese divenuto noto anche in virtù di uno sceneggiato Rai in quattro puntate del 1975 e di un film del 1996 con la regia di Jane Campion.
Il Teatro Libero ne presenta in prima nazionale una versione teatrale diretta dal regista Antonio Minganelli che ne ha curato con notevole sensibilità anche l’adattamento.
Profondo conoscitore dei mondi americano ed europeo, Henry James considera il primo latore dell’innocenza e dell’ottimismo e il secondo della raffinatezza sociale e della decadenza tanto da essere lui stesso considerato un ponte tra Vecchio e Nuovo Mondo contrapposti: Ritratto di signora evidenzia in modo palese il contrasto tra l’innocente schiettezza dell’entusiasta giovinezza americana e la pericolosa e subdolamente decadente signorilità europea.
Innocente e sicura di sé appare, infatti, la protagonista Isabel Archer, giovane, bella e intelligente fanciulla che lascia la tranquilla e monotona cittadina di Albany quando una zia ricca e stravagante la porta con sé in Europa: niente di meglio per liberarsi dalla corte assillante di spasimanti non accettati anche perché si va facendo strada in lei l’idea di rinunciare a progetti matrimoniali per convenzione e non per convinzione.
Un avvincente percorso interiore che finisce con l’avere più valenza degli accadimenti esterni che la portano a scoprire realtà entusiasmanti rafforzando in lei il convincimento di essere padrona di un mondo straordinario e di una straordinaria interiorità femminile che le dà il senso dell’autosufficienza e di non volere dipendere dai dolci adescamenti giovanili che pure le danzano intorno seducenti.
Entusiasmo, vitalità e ribellione femminile al potere maschile dominante stupendamente resi dalla superba Silvia Giulia Mendola – affermata attrice e regista dai molti riconoscimenti – accompagnata da voci, suoni e gesti che si fondono mirabilmente per cui la coscienza si autoracconta mentre si affanna in nome di un’emancipazione bramata.
Un destino ambito – cui si aggiungerà un inatteso benessere, frutto di un grande e vero amore – le cui speranze e aspirazioni sono sovvertite da incontri fuorvianti. Un fluire di stati d’animo messi in luce con efficacia anche dalla forza espressiva ancorché silente di Alessandro Romano, discreto e intenso danzatore capace di rendere l’ambivalenza maschile: una suadente capacità adescatrice che spesso cela dietro un’abile perizia menzognera un animo gretto e meschino. Oggi come ieri al di là di cambiamenti sociali spesso avvenuti più nella forma che nella sostanza rimane in ogni rapporto e in ogni campo la grande scommessa di scoprire lo scaltro potere mistificatore della doppiezza.
Un universo interiore femminile svelato con un finale che pare più aperto rispetto a quello del romanzo: speranza della contemporaneità in un vero riscatto femminile… una pièce veramente originale, inno di un’aspirazione a una femminilità consapevole.