tratto dal racconto di Giuseppe Patroni Griffi
regia ed interpretazione di Arturo Cirillo
scene Dario Gessati
costumi Gianluca Falaschi
musiche originali Francesco De Melis
luci Mauro Marasà
regista assistente Roberto Capasso
prodotto da Marche Teatro, Fondazione Campania dei Festival, Napoli Teatro Festival e Tieffe Teatro (Milano)
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Scritto nel 1975 da Giuseppe Patroni Griffi, il racconto “Scende giù per Toledo” segna l’ingresso nella successiva drammaturgia e letteratura partenopea dei femminielli, travestiti spesso originari di numerose e povere famiglie dei Quartieri Spagnoli o di quelli limitrofi; sono essi dei corpi che mescolando identità di genere, divengono simboli crudelmente e al contempo dolcemente concreti della cangiante natura insita nella stessa città di Napoli. Personaggi, dunque, naturalmente e se vogliamo, necessariamente vocati alla scena che diventa canale preferenziale per raccontarsi, non perché la loro patetica e disperata femminilità sia una maschera, ma al contrario: sono invero un’unica entità con le loro parole ed il loro flusso di pensieri che risuonano nella loro lingua.
Dell’allestimento curato da Arturo Cirillo di “Scende giù per Toledo” che ha debuttato nell’edizione 2014 del Napoli Teatro Festival e che da allora non smette di girare tutta la penisola, c’è una vivida rassegna stampa a testimonianza della precisione interpretativa che da sempre contraddistingue l’attore ed il regista.
Arturo Cirillo immerge Rosalinda Sprint nei colori viola e rosa di un piccolo interno di Montecalvario oppure in quello delle stanze fittate da una sorta di pappona dei travestiti dal nome d’arte Marlene Dietrich; arredamenti dalle tonalità quasi sfarzose, traccia di quel kitsch che contraddistingue l’appariscenza del mondo “femminile” popolare. Non da meno, la protagonista perfettamente incarnata nel corpo magro e sinuoso dell’attore, è abbigliata e truccata secondo quella percezione che quel mondo ha dell’eleganza, restituendocene la stretta e fatale appartenenza psico-sociale. Leggiadri riccioletti biondi che tanto ricordano la fragile figurina di Marylin Monroe e la delicatezza nella gestualità precisa ed assolutamente calibrata di Cirillo confondono il pubblico in bilico fra un crudo spaccato di una realtà insita nei Quartieri ed una trasognante dimensione entro la quale Rosalinda danza raccontando di sé in terza persona, soluzione che il regista ed attore adotta per non snaturare la modalità del racconto in prosa di Patroni Griffi.
Lo spettacolo difatti prende avvio con una sequenza narrativa registrata che ci introduce nel mondo di Rosalinda, fedelmente alla forma originaria, appunto, la prosa di Patroni Griffi in cui stanno insieme parole violente e crude ed altre tenere e nella quale ella fluttua distratta. Snellita la storia, Cirillo privilegia attentamente le vicende che maggiormente permettono allo spettatore di entrare nell’anima di Rosalinda: il rapporto col padre e la relativa morte, l’opaca figura materna, l’illusione d’amore prima con Gaetano e poi con il cugino Gennaro, e la fuga sino alla scogliera di Dover dove, a differenza del racconto originario, si arresta la narrazione teatrale lasciando che il passaggio dinanzi ai nostri occhi di Rosalinda Sprint sia delicato e fugace come è lei.
Trasognante, di “animo delicato” che mal sopporta l’agra vita della prostituzione, la Rosalinda di Cirillo ricorda la Blanche Do Bois di Tennessee Williams o altre sue protagoniste (e conosciamo la dimestichezza dell’attore con questo drammaturgo americano) per quella sua interiore fragilità che tutta s’infrange al cospetto della brutalità e rudezza di un certo universo maschile. Ne conserva quel barlume di poeticità e raffinatezza (troviamo, difatti, che la gestualità di Cirillo non è mai grottesca, ma pateticamente lirica) che relegano tali personaggi ad una condizione autistica, intesa come estrema e pur inerme difesa del loro esistere in maniera così vitale.
Sarà forse questa galleria di personaggi ad influenzare, e quindi arricchire da un punto di vista squisitamente teatrale questo personaggio cult di una certa letteratura napoletana. Essa va ad impreziosire l’interpretazione di un artista del calibro di Cirillo che riconosce di Rosalida anche tutte le sue sorelle “minori” (s’intenda cronologicamente) presenti in Ruccello e in Moscato che rispetto alla protagonista di Patroni Griffi, trascendono da una certa stilizzazione che è resa nell’allestimento da elementi visivi e dalla nostalgica musica jazz, così diversa dalle canzonette radiofoniche che ascolta la Jennifer ruccelliana.
Una fiaba alla rovescia? Rosalinda è forse una Cenerentola snaturata che si racconta su una scena, quasi come se si vedesse vivere attraverso le percezioni del suo corpo perennemente esposto allo spietato desiderio di maschi che se ne burlano con disprezzo, mentre cerca di preservare una “certa forma di delicatezza” che sembra mescolarsi al suono delle onde che si infrangono su un’inesistente scogliera bianca oltre la Manica.
Una teatralizzazione che non dimentica la lingua della prosa originaria né la relativa espressività, semmai ne potenzia l’effetto convogliando i sensi degli spettatori stessi che assistono ad un passaggio fugace di Rosalinda “Sprint” di corsa per Toledo per arrivare dal suo sarto.